Un'immagine dei danni dell'alluvione in Calabria (foto LaPresse)

Il lato oscuro di uno spettacolo formidabile

Adriano Sofri

Assistere, a Vibo, a un nubifragio spettacoloso. L'indomani apprendere le notizie della piana di Gioia, di Lamezia e del Vibonese, vittime, frane, case travolte

Giovedì mattina avevo parlato e ascoltato parlare nel convento domenicano di Soriano Calabro, favoloso nelle rovine come nella parte restata in piedi. Ragazze e ragazzi studenti che per l’occasione avevano preso confidenza con Kafka, le loro insegnanti, una dirigente scolastica di Filadelfia (in Calabria, vedetene la storia su Wikipedia), Maria Viscone, che per amore di Kafka studiò tedesco e ceco, un sindaco, Francesco Bartone, titolare di un paese cui si arriva per strade doverosamente dissestate come in una caccia al tesoro, il tesoro formato da quel convento e il suo museo di marmi berniniani e la vasta collezione domenicana di cinquecentine e la Biblioteca Calabrese, 32 mila libri sulla Calabria e la sua gente.

 

E i cittadini di Soriano, che di tutto ciò hanno il merito e spero che lo tengano caro. Riferisco per incoraggiamento, coi tempi che corrono. Il tempo era incerto, secondo le previsioni, ma si è tenuto buono per tutto il pomeriggio, sicché sono sceso a camminare lungo il mare di Pizzo. Pizzo e il suo castello aragonese, dove fu incarcerato e fucilato il re di Napoli Gioacchino Murat, il più famoso dei proverbiali rovinati dal cognato.

 

C’era un mare fermo e trasparente, un veliero alla fonda come in una tela di Friedrich, un cielo azzurro, un’acqua azzurra, una vespa azzurra dalla quale sono scesi un ragazzo e una ragazza – Come va? chiedo, Bene, dicono: vorrei vedere – una maiuscola scritta azzurra sul muretto che sbocca sul molo: E IL NAUFRAGAR M’E’ DOLCE IN QUESTO… Naufragavo dolcemente in quell’azzurrità quando ho dovuto per la prima volta pensare che il verso, uno dei sette più belli della poesia italiana, non può più pronunciarsi come una volta, coi prosaici naufragi del Mare Nostro e di nessun altro. Il tramonto comunque è dolce, le persone vanno e vengono sul molo, mi spiegano che bisogna aspettare due volte all’anno che il sole sorga o tramonti esattamente sul cratere dello Stromboli, di fronte a noi, così che sembri un’eruzione o un’irruzione rossa fiammeggiante nel vulcano. Ceno alla trattoria Moby Dick, per il titolo: il padrone, saviamente renziano, scelse il nome in un’antologia scolastica di sua figlia, cercando qualcosa che riguardasse il mare e i pesci. Sua figlia è ora grande e pianista. Viene il buio e un nubifragio spettacoloso. Non avevo mai visto una sequenza così ininterrotta di fulmini, è durata per tutta la notte. Nella stanza d’albergo di Vibo ho lasciato la serranda alzata sul golfo e sul cielo strappato dalle folgori. Le vedevo, le sognavo, le rivedevo da sveglio e mi rassicuravo: spettacolo formidabile. La mattina dopo ho sentito le notizie della piana di Gioia, di Lamezia e del Vibonese, vittime, frane, case travolte e voli bloccati e strade ostruite.

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