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La sfida per Baghdad

Adriano Sofri

Incontri segreti e trattative. E’ Adil Abdul Mahdi il nome nuovo per la guida dell’Iraq

Vorrei allegare qualche voce al sommario di cose irachene uscito ieri per la penna di Rolla Scolari. Dalla corsa alla guida del governo di Baghdad si sono ritirati, o sono stati estromessi, tutti i candidati di gran nome e di grandi malefatte, quelli sui quali il grande ayatollah al Sistani aveva emesso il suo bando. Gli incontri “segreti” a Baghdad fra Brett McGurk, il plenipotenziario americano che sembrava destinato a uscire di scena all’avvento di Trump ed è ancora lì, mobilissimo, e il gran capo della legione straniera iraniana Qassem Suleimani, sembrano essere stati inconcludenti. Il movimento Sairoon, che mette insieme la maggioranza relativa di Moqtada al Sadr e il Partito comunista, con Hadi al Amiri, il capo dell’organizzazione politico-militare Badr, di obbedienza iraniana e personale a Suleimani, si sarebbero accordati per investire come primo ministro il veterano Adil Abdul Mahdi (è nato nel 1942): già vicepresidente e, da ultimo, ministro del Petrolio fino al 2016. Figlio di madre curda e di un padre alto chierico sciita, che fu tra i primi ministri del governo iracheno ai tempi della monarchia, Mahdi militò nel Baath all’inizio degli anni Sessanta e nel Partito comunista, poi ripudiò quell’affiliazione ed entrò nel Consiglio supremo dell’islam dell’ayatollah al Hakim. Economista di formazione, a lungo esule in Francia, è considerato un “centrista”, con buone relazioni con Iran e Stati Uniti e coi curdi. Fu già in passato concorrente alla guida del governo. La confusione sotto il cielo iracheno è grandissima, appena compensata dal buon andamento del prezzo del petrolio. A Bassora le autorità sanitarie hanno dichiarato che addirittura 60 mila persone sono state ricoverate in un solo mese per l’epidemia provocata dall’acqua salata e inquinata. Il premier uscente, al Abadi, accusato di aver scatenato una repressione dura quanto ottusa contro la ribellione popolare, ha appena pronunciato dei comici riconoscimenti autocritici: “Dobbiamo accertare se la corruzione abbia avuto un ruolo nella crisi di Bassora”.

 

In Kurdistan si vota per il Parlamento regionale – 110 seggi, 10 riservati a turcmeni, cristiano-assiri e yazidi, il 25 per cento a donne – il prossimo 30 settembre. Ci sono poche novità, se non si consideri tale il balletto quotidiano di alleanze concluse e disdette. La più rilevante è il rientro nel Puk, il partito di Sulaymaniyah del notabile Barham Salih, 58 anni, che aveva tentato la carta di un proprio partito, compensato dall’investitura alla presidenza della Repubblica irachena, carica riservata ai curdi. Il Pdk, il partito della dinastia Barzani di Erbil e Dohuk, contesta la candidatura di Barham Salih, probabilmente per alzare il prezzo della contrattazione sui posti. Dal Puk gli si obietta che il Pdk ha già avuto uno dei due posti di vicepresidente del Parlamento di Baghdad – dove la presidenza spetta a un arabo sunnita, ed è stato scelto il giovane ex governatore dell’Anbar, Mohammed al Halbusi, 37 anni. McGurk è andato a Sulaymaniyah, ha visto i maggiorenti del Puk, Kosrat e Hero Talabani, e gli uomini della generazione successiva, “traditori” e “traditi” della caduta di Kirkuk, poi è andato a Erbil e ha visto i Barzani, figlio e nipote. Kirkuk, la perla, resta in mani irachene, e Puk e Pdk litigano anche sul governatore da reinsediarvi. Ma almeno la strada Erbil-Kirkuk è stata riaperta, sia pure disseminata di posti di blocco e di dogane a iniziativa privata.

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