Sergio Bramini e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Disgusto e stupore per la demagogia populista. Ma il Pd che fa?

Adriano Sofri

Salvini e Di Maio sguazzano nel caso Sergio Bramini, l'imprenditore insolvente con lo stato

C’è un paio di sentimenti che proveremo migliaia di volte nel tempo che viene, e già hanno riempito il lungo interludio dei Novissimi. Il primo è il disgusto per il colmo di demagogia cui sono capaci di arrivare. Giorni fa Salvini, uscendo da un incontro con il presidente della Repubblica, aveva ringhiato contro una universale cospirazione che voleva impedire a lui – “Io! A me!” – di affrontare e finalmente risolvere i problemi – “degli Italiani!”. Questa mattina, aveva detto, è caduto l’intonaco di un soffitto di scuola, che poteva colpire la testa dei nostri figli, e non mi lasciano agire. Tetti crollano sugli scolari e il mondo gli lega le mani, a lui. L’altroieri Di Maio, ieri Salvini, hanno presidiato la casa che lo Stato insolvente vuole sottrarre alla famiglia dell’imprenditore Bramini, sulla vicenda del quale già tanti mezzi di informazione avevano attirato l’attenzione. Anche qui, un bagno di demagogia. Il governo lo formiamo nel salotto di Bramini, hanno detto. E però ecco il secondo dei sentimenti che proveremo migliaia di volte nel tempo novissimo, e già proviamo: lo stupore desolato. Perché nessun notabile del Pd e del pulviscolo delle sinistre (salvo mio errore) era andato a trovare Sergio Bramini e a sbarrare col proprio corpo la strada agli ufficiali sfrattatori? C’è una spiegazione? Bramini è “di destra”? E chi se ne frega. Bramini ha un debito (e un credito) troppo grosso per tributargli la solidarietà che meritano i poveri? Ma a quanti sfratti di poveri insolventi hanno opposto in cambio il proprio corpo? Ho scorso la bibliografia, chiamiamola così, del caso Bramini: ho trovato un appello per lui di padre Alex Zanotelli, uno che di poveri a discariche si intende bene. Vedrete: ci aspettano (vi aspettano) anni in cui essere vinti insieme dal disgusto per l’impudenza demagogica e dallo stupore frustrato per la domanda: perché non l’abbiamo fatto noi, quando si poteva, come si doveva?

 

P.S.: ho letto la risposta a Report e a me che per la Fincantieri ha scritto il signor Antonio Autorino. In breve: l’azienda sembra ritenere che se gli operai si cambiano in strada e mangiano sulla terra negra è perché preferiscono così, nonostanti gli spazi squisiti delle mense. Gli operai sono strani, si sa, ma fino a questo punto? La Fincantieri precisa che ulteriori spazi sono progettati o in costruzione. Può darsi, è quello che dice l’assessora romana ai trasporti. Ma non è una ragione sufficiente per non immalinconirsi degli autobus che vanno a fuoco.

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