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Il dialogo dimezzato

Adriano Sofri

Nel reparto di chirurgia ortopedica che ospita persone molto anziane c'è un signore di cui non ho mai sentito la voce 

Il reparto di chirurgia ortopedica in cui attualmente soggiorno ospita una maggioranza di persone molto vecchie. Uno di loro è un uomo ben oltre i novant’anni, lo intravvedo percorrendo il corridoio: mentre di altri ospiti, donne e uomini, si sentono grida e lamenti o semplicemente pezzi di conversazioni con infermiere e infermieri, la conversazione intima e stereotipa che fa andare avanti il mondo anche quando ha le ossa rotte, di questo signore non ho mai sentito la voce. Sento bene quella di un suo figlio, persona già matura, assiduo nelle visite. Il figlio gli parla a voce molto alta, è evidente che sollecita la sua attenzione e la sua memoria. E’ strano ascoltare questo dialogo dimezzato. Mi piace che il figlio lo chiami “babbo” e gli dia del voi. “Babbo – gli dice – ieri s’era a cena dalla tale, vu’ vi ricordate, la moglie del tale”. “O babbo, avreste dovuto vedere stamattina a piazza Dalmazia come si stava, sembrava d’essere a giugno”. “Babbo, vi porto i saluti del tale, l’ho incontrato ai giardini col cane, ci ha quel maremmano bianco, grosso, sapete”. A un certo punto mi è sembrato che cambiasse tono e abbassasse un po’ la voce. Ha chiesto: “Babbo, chi sono io?”.

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