Ali Khamenei (foto LaPresse)

Baghdad che cavilla sul referendum curdo "incostituzionale" e altre assurdità

Adriano Sofri

L'indagine americana sulle finanze occulte di Khamenei

La condizione per tornare a parlarci, aveva detto ai curdi il governo iracheno, e con lui iraniani e turchi, è che “cancelliate” il referendum tenuto il 25 settembre. Il referendum, si badi, non il suo esito. Ma la gente ha votato, la cosa è successa, come si fa a cancellarla – rispondevano i curdi. Che via via sono arrivati a dire che “congelavano” il referendum. Eh no, insistevano gli altri, bisogna cancellarlo. Perplessità curda: voto dal sen fuggito più richiamar non vale, non si trattien lo strale quando dall’arco uscì. Ed ecco che ieri, nella miglior tradizione del cavillismo teocratico, la Corte federale irachena ha sentenziato che il referendum era incostituzionale e in quanto tale è nullo e non avvenuto – cioè cancellato. Mentre scrivo si aspetta di vedere se Abadi, il primo ministro iracheno, insisterà ancora a esigere dai curdi, e da Masud Barzani in persona, benché dimissionario, di “cancellare” il referendum, come insistono a pretendere i suoi concorrenti dell’oltranzismo sciita, come l’ex premier Maliki, o si dirà soddisfatto del gioco di prestigio della Corte che ha tirato via il tovagliolo e fatto sparire la cosa. Si dice che se Baghdad avesse accettato di riportare la quota del (disastroso) bilancio iracheno destinata ai curdi al 17 per cento invece di ridurlo al 12, l’accordo sarebbe stato già firmato.

 

Intanto: al Boukamal, la cittadina di frontiera siriano-irachena, è stata “liberata” per la seconda volta in un mese dall’Isis grazie alle truppe al comando fisico di Qassem Suleimani, che ormai si muove in Siria e in Iraq come a casa sua. Al Muhandis, il vicecapo delle milizie irachene filoiraniane Ashd al Shaabi, ricercato dagli Stati Uniti come terrorista, ha dichiarato che le sue forze sono pronte a intervenire negli Stati Uniti se questi ultimi ne faranno richiesta, per sistemare i loro problemi interni. La Lega araba, riunita in assenza di Iraq, Siria e Yemen, ha detto all’Iran che non gli dichiara ancora guerra ma lo ammonisce a rinunciare alla sua invadenza, e ha denunciato Hezbollah come organizzazione terrorista. Dichiarazione sulla quale si è riservato il Libano, il cui primo ministro dimissionario, Saad Hariri, che non è così prigioniero, va oggi in Egitto e domani torna a Beirut.

 

La commissione Finanze del Congresso americano ha aperto, 48 contro 16, un’indagine sulle finanze occulte iraniane ipotizzando che la Guida Suprema, il vecchio ayatollah Ali Khamenei, possieda in depositi esteri 95 miliardi di dollari (sic!). Ironicamente la notizia coincide con la visita di Khamenei a Kermanshah, nella regione curda dell’Iran devastata dal terremoto, dove gli aiuti di Teheran sono stati scandalosamente inefficaci e le case popolari costruite da Ahmadinejad sono venute giù come carta velina. I risarcimenti offerti ammontano a 500 dollari per famiglia.

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