L'arca di Noé al centro della terra bruciata

Adriano Sofri

C’è un metodo ammirevole negli incendi di quest’anno: ancora un piccolo sforzo, e troveranno il modo di dare fuoco al mare

Ripassato da Scopello, dove sono, e mi lasciano sentire, di casa, nonostante i lunghi intervalli, ho riletto un bel volume di quasi trent’anni fa sullo Zingaro, che lamentava il danno ricorrente degli incendi. Anche gli incendi di una volta si rimpiangono oggi. Gli incendi di oggi hanno un numero di focolai e un fronte di fuoco incomparabili.

 

Si sorride a sentir parlare di piromani: ipotesi delle più ottimistiche. C’è un metodo ammirevole negli incendi di quest’anno: ancora un piccolo sforzo, e troveranno il modo di dare fuoco al mare, l’unico ancora renitente al rogo. Io ho mancato di poco lo spettacolo, che si è ripetuto due volte e una volta è durato due giorni.

 

In cambio, ho assistito dal mio vecchio scoglio in forma di tartaruga alla nascita di un incendio a ridosso delle case di Alcamo, che nel giro di minuti ha sollevato una nuvola nerissima, singolarmente famigliare a chi si sia preso una vacanza dai dintorni di Mosul: bruciava questa volta una discarica di plastica e olii, rifiuti speciali. Alla gente di Alcamo si è detto di starsene in casa con le finestre chiuse. L’aquila del Bonelli, le doppie lucertole sicule e campestre, istrici e topolini, scarabei e palme nane, grandi euforbie a ombrello e orchidee selvatiche, turisti dello Zingaro e cittadini di Alcamo e i loro geranii e le loro bougainville, e i canadair del giorno dopo: l’idea di un’arca di Noé al centro della terra bruciata. Ieri sera, davanti al baglio di Scopello, un ragazza prestigiatrice si guadagnava il soggiorno facendo i suoi giochi di fuoco e la guardavamo con tenerezza, appoggiati all’antica fontana asciutta.

Di più su questi argomenti: