Foto LaPresse

Quello che è mancato nelle commemorazioni per Borsellino

Adriano Sofri

Undici persone, poi ridotte a nove, del tutto estranee ai fatti erano state condannate all’ergastolo e incarcerate, nell’orrore del 41 bis, per dodici anni per la strage di via D'Amelio. Erano innocenti

Vediamo se ho capito. Dopo l’assassinio di Paolo Borsellino e di Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, viene deliberatamente montata da uomini della Polizia e di altri organi dello stato una raccapricciante quanto maldestra falsa pista, che sarà avallata da uno stuolo impressionante di magistrati di ogni ordine. Undici persone, poi ridotte a nove, del tutto estranee ai fatti (cioè innocenti, questo è il significato della parola) vengono condannate all’ergastolo e incarcerate, nell’orrore del 41 bis, per dodici anni. Il pilastro di questa abominevole falsificazione è un disgraziato di nome Scarantino, che peraltro prova ripetutamente a dire che quello che gli hanno fatto “confessare” è completamente falso ed estorto. La sua inaffidabilità è del resto evidente dall’inizio ad altri inquirenti, meno ottusi o meno disposti a stare al gioco dei depistaggi. Quando finalmente, nel 2008, un mafioso di altro calibro, di nome Spatuzza, fornisce la sua versione dei fatti e la accompagna con prove verificate, gli sventurati che stanno in galera innocenti al 41 bis vengono messi fuori, con il meccanismo anestetico della “sospensione della pena”. Per capirci, di uno di loro Scarantino riferirà di aver fatto il nome perché al bar non lo salutava.

Mentre altri processi condannano altri responsabili della strage di via D’Amelio, gli innocenti restano così, sospesi. Trascorrono ancora nove anni, e tre giorni fa, alla chetichella, per così dire, il tribunale di Catania sbriga in una manciata di minuti il processo di revisione e annulla formalmente le condanne per quei calunniati, che ora lo stato dovrà risarcire, benché né lo stato né alcuna altra entità abbia tasche piene abbastanza da risarcire di un’infamia simile. Ora questa sommaria ricapitolazione era per formulare una domanda: nelle innumerevoli e sentite commemorazioni dei 25 anni dalla strage di via D’Amelio ce n’è stata almeno una cui siano stati invitati, con un posto per così dire d’onore, i condannati innocenti tormentati per tanti anni nella peggiore delle galere? Non dico che dovessero sedere accanto ai magistrati che li hanno perseguitati e condannati a oltranza, spesso sapendo quello che facevano: non sarebbe stato bello per loro. Ma magari accanto al presidente della repubblica, per rendere più efficace il suo monito sulle “troppe incertezze nella ricerca della verità”. A volte la verità è così vicina che le si potrebbe trovare un posto a sedere.

Di più su questi argomenti: