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Com'è frugare nei cassonetti di Berlino

Adriano Sofri

La capitale tedesca è ricca di una ricchezza sicura di sé. Poco interessante, se non sbaglio: interessante è la sua timida ombra, la miseria che tira a campare

Ho trascorso qualche giorno a Berlino fra Potsdamer Platz e Alexanderplatz. Non mi ero portato dietro il romanzo di Döblin ma nelle prime pagine disponibili in rete ci sono due espressioni memorabili. La prima è dalla prefazione di Benjamin, a proposito della miseria del protagonista, Franz Biberkopf, che non sembrava abbastanza misera all’idea che i critici letterari si facevano della miseria: anche la miseria, dice Benjamin, tira a campare. La seconda è dell’autore, e parla di coloro che abitano dentro una pelle umana. Ora le due piazze, che come già nel romanzo non sono piazze ma universi, offrono un campionario memorabile di abitanti dentro pelle umana. Berlino è ricca di una ricchezza sicura di sé, esuberante ma non ostentata, solida. Poco interessante, se non sbaglio: interessante è la sua timida ombra, la miseria che tira a campare. C’è modo e modo di frugare nei cassonetti. C’è il modo di Atene, per esempio, degli insegnanti e delle infermiere di mezza età. Non me ne intendo abbastanza, dovrei praticare per capire come funziona, ma a Berlino è evidente la separazione fra i clochard più tradizionali e le persone distinte, sia anziane che giovani, che spesso hanno l’aria di compiere un’ispezione fiscale più che di sbarcare il lunario. Ne ho seguito uno, giovane, decentemente vestito, così rapido da farmi presto perdere le tracce – forse per la concorrenza che preme, forse per un suo cottimo personale, tanti cassonetti all’ora – che arriva alla bocca del cassonetto o del cestino, la illumina col telefonino, getta un’occhiata clinica e passa oltre. Uno che ci ha fatto l’occhio.

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