Chi dice di essere pronto a essere intercettato è degno della maggior pena

Adriano Sofri

Ho conosciuto una sola persona che avrebbe potuto dire lealmente di non temere differenze nella propria vita fra pagine di diario conversazioni telefoniche parole d’amore e pubblici comizi: era Marco Pannella

Oscena ipocrisia e stupidità di quelli che si proclamano pronti a essere intercettati, “tanto non hanno niente da nascondere”. A giudicare dalle cose che dicono in pubblico, se ne sentirebbero delle belle. Io ho una tendenza irresistibile ad accostare il nome di Enzo Tortora al motto “Male non fare paura non avere”. E’ vero del resto che lui non ebbe paura. Gli ipocriti dovrebbero compiere un altro passo verso la beatitudine della stupidità dichiarandosi pronti a che si legga nei loro pensieri, “tanto non hanno niente da nascondere” – in un certo senso, sarebbe vero.

 

Ciascuna comunicazione ha un suo linguaggio proprio che il costume civile dovrebbe rispettare e custodire con ogni premura: “i propri pensieri” sono altra cosa dalle parole affidate a un diario personale, le parole di un diario sono altra cosa da quelle delle conversazioni telefoniche, e queste hanno altrettanti codici quanti sono i diversi interlocutori. Le comunicazioni criminali meritano di essere intercettate: io provo una simpatia preliminare per chi faccia senza chiasso il poliziotto e il pubblico ministero a Trapani. C’è però un affollamento smanioso davanti alla fortuna di ascoltare le comunicazioni private delle persone, tanto più quanto meno sono privati gli intercettatori e gli intercettati. Sono avidi di baci, amplessi, insulti, malattie altrui. Ne sono avidi prima e più che per le loro carriere di procuratori giornalisti conduttori e clienti di barbiere. Avidi “umanamente”, della loro umanità.

 

Poco fa ero lontano e ho avuto – non per la prima volta – ladri in casa. Erano in tre, pare, e hanno frugato a lungo dovunque perché non trovavano niente che li interessasse o quasi –un computer, qualche medaglia paterna. Ho trovato le mie carte, sono uomo di carta, lettere, biglietti, quaderni, freneticamente sfogliate e buttate all’aria con una certa delusione, immagino. Io non ce l’ho coi ladri, molti sono amici miei, sono imbarazzato che sprechino un tempo prezioso con una casa di carta. Fra qualche giorno troverò la pazienza di rimettere assieme lettere, quaderni, foglietti, o di provvedere definitivamente a fare il fuoco. Ben altro disgusto ebbi le volte in cui a frugare sequestrare e spiare le mie carte furono, abusivamente e con minor frutto dei ladri, magistrati e giornalisti.

 

Occorrono anni, dopo, a ridiventare disposti ad aprire i propri diari. Chi dice di essere pronto a essere intercettato, ascoltato, letto, ispezionato nei propri pensieri e nei propri biglietti sul tavolo di cucina, è degno della maggior pena. Si vanta onesto e non si accorge di vantarsi persona a una dimensione, cioè nessuna. Ho conosciuto una sola persona che avrebbe potuto dire lealmente di non temere differenze nella propria vita – a parte i pensieri, inattingibili comunque – fra pagine di diario conversazioni telefoniche parole d’amore e pubblici comizi: questa persona era Marco Pannella. Non era né il suo pregio né il suo vizio, era la sua singolarità. A intercettarlo si sarebbe riconosciuto un suo comizio a Teramo, ad ascoltarlo in una piazza alle 12 di mattina si sarebbero intuite frasi e gesti della sua notte. Gli altri, quelli che non hanno niente da nascondere, non hanno niente. Questo è il mio ricordo di Marco P., un anno dopo.

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