Carcere di Rebibbia - 40mo Congresso Straordinario del Partito Radicale (LaPresse)

Così uno sfratto trasforma il radicalismo da prassi nonviolenta a dottrina

Adriano Sofri

Dal congresso di Rebibbia alla scissione

Non ho più detto né scritto una parola sui radicali, chiamiamoli all’ingrosso così. Non avrei saputo decidere, se rallegrarmi che non fossero andati oltre nel corpo a corpo reciproco o lamentare che non avessero ancora provato a rimettere insieme i cocci. Ieri, in qualità di iscritto, credo (sono iscritto per l’anno scorso e quello in corso) ho ricevuto una lunga lettera “urgente” del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transpartito in cui si annuncia il regolamento di conti finale. Dopo un ripetuto avvertimento sul turbamento che la lettera avrebbe suscitato nel lettore o nella lettrice e una argomentazione delle accuse di slealtà rivolte a Radicali Italiani, la lettera riassume le misure pratiche che i suoi firmatari stanno per attuare: in sostanza, l’esclusione di Radicali Italiani dalla sede storica di via di Torre Argentina e la “ridiscussione del palinsesto” di Radio Radicale, al fine di “potenziarne la presenza del Partito Radicale”. La lettera sarà, se non è già, facilmente accessibile, e rinvio alla sua lettura diretta per non rischiare qui di darne un sommario troppo parziale. A me, nella sostanza, sembra significare la liquidazione finale della vicenda radicale come l’abbiamo conosciuta e frequentata. Forse era inevitabile dopo la morte di Marco Pannella, ma non era inevitabile che avvenisse così, sia prima che dopo la sua morte. I dirigenti del Prntt lamentano fra l’altro che la separazione e la contrapposizione fra le due denominazioni principali (ce ne sono anche altre, per giunta) provochi una confusione in chi simpatizza o vuole aderire al Partito Radicale, e crede di farlo aderendo a Radicali Italiani.

 

Questo è molto probabile, e la questione somiglia infatti a uno scioglilingua. La conduzione di Radio Radicale è stata in tutto questo periodo un esemplare sforzo di equilibrio al bordo dell’equilibrismo. In questa confusione si sarebbe però potuto vedere un’occasione per rimescolare le carte: ora che per appurare “con chi sta” il mio vecchio amico Bandinelli o il mio vecchio amico Spadaccia, devo fare una piccola ricerca. (Non ve lo dico: fate una piccola ricerca, e ditemi se è normale). I dirigenti del Prntt riconoscono ripetutamente, nella lettera, il diritto “politico” dei loro ex compagni a perseguire le scelte in cui credono: imputano loro una violazione statutaria, rispetto alle decisioni prese dal Congresso straordinario dello scorso settembre. Quel Congresso, formalmente indetto, apparve ad alcuni un colpo di mano o comunque uno strappo per forzare la separazione dei “pannelliani” dai “boniniani” – per usare le scipite categorie correnti. Ebbe il pregio di svolgersi dentro il carcere di Rebibbia, con una ingente partecipazione di detenuti, anche ergastolani, e di autorità del ministero della Giustizia, e il difetto di trascurare largamente temi e persone “transnazionali”, che di quel partito erano stati la principale ispirazione, e in una situazione internazionale che ne accentuava l’urgenza. (Sostituendoli con l’iniziativa diplomatica sul diritto alla conoscenza che, comunque se ne pensi, è altro affare). Entro quei tempi, e con le risorse (non) disponibili, non sarebbe stato materialmente possibile un “vero” congresso transnazionale: ma era proprio questa l’obiezione avanzata da chi raccomandava tempi e preparazione diversi, che non facessero del Congresso straordinario una sostanziale ripetizione di quello di “Nessuno tocchi Caino” nel carcere di Opera. Conto di non dover spiegare quanto mi stia a cuore la condizione delle carceri e dei detenuti.

 

Paradossalmente, quei temi e quelle persone transnazionali sarebbero stati molto più al centro delle iniziative e del congresso di Radicali Italiani, in una specie di inversione. Al Congresso di Rebibbia molti radicali storici e nuovi mancarono semplicemente di partecipare. La presidenza del Prntt fa appello alla conclusione della maggioranza di quel Congresso straordinario e ai diritti spettanti ai titolari della “Lista Pannella” per spiegare le proprie decisioni. Al tempo stesso, ne fa risalire la sostanza alla fedeltà al magistero e alla memoria di Marco Pannella, ricordando che dei radicali si si erano opposti politicamente già quando era in vita. L’argomento, che fa di loro i “veri radicali”, e degli altri degli apostati, o degli impostori e almeno dei profittatori, è di sostanza politica e non formale, ma rischia di fare di Pannella non l’esempio vissuto di una prassi bensì il testatore di una dottrina. Non mi figuro che lo strappo sia rattoppabile. Oltretutto non sarei né capace né disposto a trasformare il mio sostegno ai radicali in un impegno militante, e questo toglie credito alle mie opinioni. So che le insofferenze che crescono in una lunga vita comune di pochi per grandi speranze possono diventare invincibili e infiammare odi personali. E’ la smentita più incresciosa al tentativo di essere noi stessi il cambiamento che ci auguriamo di vedere nel mondo.

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