(foto LaPresse)

Erbil multietnica

Adriano Sofri

La lavanderia da cui mi servo è tenuta da un signore turcomanno i cui collaboratori sono filippini

Sono tornato a Erbil. La casa curda che mi ospita ha un ufficio annesso in cui lavorano tre cittadini curdi e uno siriano. Ha lasciato da poco il lavoro una giovane signora di religione kaka’i. Viene un paio di volte alla settimana a fare le pulizie una signora etiope, cristiana ortodossa. Vado a fare la spesa in un magazzino vicino, che si chiama Holland e impiega personale prevalentemente bengalese. Accanto c’è un bar gestito da persone coreane e di Sri Lanka. La frutta però la compro in un chiosco di una famiglia iraniana, che ha le cose migliori. Ieri sera ero a cena – con amiche neozelandesi, norvegesi e yazide – in un piccolo ristorante gestito da un signore turco che parla spagnolo e inglese oltre che turco arabo e curdo, e impiega personale nepalese, buddhista. La lavanderia da cui mi servo è tenuta da un signore turcomanno i cui collaboratori sono filippini. Ora smetto perché ho un appuntamento con un signore americano, del Michigan, che venne qui un paio di anni fa perchè voleva unirsi ai curdi nella guerra all’Isis ma non l’hanno mai arruolato, e tira avanti dando lezioni di inglese. Quasi quasi telefono a un geometra trevigiano che ho incontrato in aereo, e costruiamo un muricciolo.

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