Fabbrica incendiata da Isis vicino a Mosul: nube tossica (foto laPresse)

Neanche il cielo potrà evitare lo sterminio che seguirà la presa di Mosul

Adriano Sofri
L'Isis è pronto a tutto per difendere la sua "vera" capitale. Era ed è nel conto perché si è lasciato troppo a lungo che la bestia crescesse di voracità e di infamia e rendesse ostaggio tutto un popolo. C’è ancora speranza che il gioco al rialzo catastrofico preveda un negoziato di fatto? Credo di no.

Caro Giuliano, l’altro giorno a proposito della battaglia per Mosul hai scritto una cosa così ragionevole che dovrebbe essere ovvia: che offrire un “corridoio” e insomma una via di fuga al nerbo dei farabutti dell’Isis da Mosul alla volta della Siria significherebbe – avrebbe significato – ridurre drasticamente il rischio per una popolazione di oltre un milione, e nella nuova destinazione quei farabutti combattenti sarebbero stati affrontati con più agio e meno sangue. Che il “corridoio” fosse una vera possibilità è molto dubbio, ma è certo che se ne sia trattato anche dove la pubblicità non brucia immediatamente le scelte. Russi e siriani assadisti hanno gridato allo scandalo e insinuato che gli americani mirassero così a rafforzare l’Isis in Siria a loro spese. In realtà si riproponeva a Mosul l’eterno dilemma sul sacrificio imposto dal pronto soccorso, salvo riscattarlo una volta salvata la vita o le vite minacciate – Aldo Moro o i sequestrati per cui pagare eccetera. Esemplari, sia per il sacrificio immediato che per la rivalsa a scadenza, gli israeliani, com’è noto. Comunque sembra che quella ipotesi sia ormai sepolta del tutto sotto la nuvola nera delle trincee di petrolio incendiato e della fabbrica di zolfo sabotata che copre gran parte della regione e annuncia il programma dell’Isis di realizzare a Mosul l’apocalisse che a Dabiq è rinviata a data da destinarsi.

 

Era inevitabile da principio aspettarsi che l’Isis a difesa della propria vera capitale fosse pronta a tutto: nel tutto sta una strage di proporzioni tali da imputarla ai liberatori come una macchia terribile e a se stessi come un formidabile martirio. Era ed è nel conto perché si è lasciato troppo a lungo che la bestia crescesse di voracità e di infamia e rendesse ostaggio tutto un popolo, volente o nolente o prima volente poi sempre meno, e sempre più piegato alla ferocia. Le notizie ora arrivano rovesciate: non dicono più di miliziani del Califfato o loro famigliari riparati a Raqqa, ma al contrario di miliziani che da Raqqa e dalla Siria convergono alla difesa di Mosul. C’è ancora una flebile speranza che il gioco al rialzo catastrofico dell’Isis preveda un negoziato di fatto? Credo di no, mi dispiace. Tutti noi che stiamo più a ridosso di questo abisso, con la nuvola nera che si allarga – ieri è arrivata fino a Gwer, e la gente benediceva la prima pioggerella augurandosi che incollasse a terra lo zolfo, sia pure al costo di rendere sterile quella terra chissà per quanto – ci chiediamo, totalmente privi di cognizione di causa, come possano gli assedianti di Mosul immaginare una presa della città che non costi uno sterminio. Il dominio del cielo non può fare tanto su una grande città in cui le postazioni sono dislocate continuamente e tutti i cittadini sono trasformati in scudi umani.

 

Ma anche la famosa “battaglia strada per strada, casa per casa” è davvero una realistica prospettiva, o nella città così grande il fanatismo può ricorrere a immolazioni colossali di cose e persone? Questi angosciosi pensieri accompagnano uno scontro che non ha alternative, e che ne avrebbe avute tanto più quanto più si fosse anticipato. Resta un pensiero opposto, che le cose non siano così terribili come appaiano, che qualcosa di imprevisto le riduca a una misura, o di previsto, la sollevazione della gente, il cinismo dei notabili disposti a vendere il califfo… La provvidenza, che tutte le fedi a loro modo immaginano. Non servirà comunque a niente, la lezione. Siamo animali umani, è proprio della nostra specie esaltare la medicina preventiva e ricorrere alla chirurgia d’urgenza. Agli ospedali da campo, appunto, come la chiesa di Francesco.