(foto LaPresse)

"Sparare sulla Croce Rossa" in Siria

Adriano Sofri
Dopo cinque anni di una guerra devastante che si è fatta sempre più mondiale, fino a rimettere direttamente di fronte americani e russi come dopo la Baia dei Porci e la crisi dei missili, il bombardamento martellante di un convoglio umanitario con le insegne del soccorso internazionale verso una città di un milione che agonizza passa per uno dei tanti accidenti di guerra.

Dunque per la Siria si raggiunge, o si finge di raggiungere, una tregua a termine che consenta di raggiungere con aiuti di cibo e farmaci una popolazione ben più che decimata che muore di fame oltre che di bombe. La tregua regge più o meno per un po’, non abbastanza perché gli aiuti partano e arrivino a destinazione. Quando finalmente il convoglio degli aiuti si muove, lunedì, alla volta di Aleppo, e tutti gli attori della ributtante guerra che da cinque anni infuria nel paese sono stati dettagliatamente avvertiti del suo percorso, gli aerei di Assad e di Putin (quello che è di Assad è di Putin) scatenano un bombardamento prolungato che distrugge diciotto dei trentuno camion del convoglio, distrugge (chirurgicamente) il centro di raccolta cui gli aiuti sono diretti, uccide almeno venti membri e volontari della Mezzaluna Rossa (l’equivalente della Croce Rossa) e ferisce molti altri.

 

Due giorni prima, con la tregua già in corso, un attacco aereo americano aveva colpito, nelle vicinanze di Deir Ezzor, Forze armate di Assad uccidendo molti militari. Gli americani avevano ammesso la propria responsabilità attribuendola a un errore: credevano di aver individuato una base dell’Isis. Un errore di questa portata durante una fragilissima tregua che oltretutto si proponeva di favorire l’azione congiunta di Russia e Usa contro l’Isis, è di un’enorme gravità. Tuttavia è stato riconosciuto dai suoi autori che se ne sono scusati. E anche ammesso che, come pretende Assad, non si sia trattato di un errore ma di un’azione deliberata, sarebbe stato un vero crimine, ma perpetrato contro militari.

 

Assad e Putin dal canto loro negano ogni responsabilità nel bombardamento del convoglio di aiuti, del quale non è in dubbio la deliberata mira. Non sono stati loro, e non hanno scambiato i soccorritori per terroristi. Leggo commenti giornalistici e dichiarazioni diplomatiche che equanimamente – e in spazi molto periferici – spiegano come la tregua sia stata affossata da violazioni delle diverse parti, e assicurano che non c’è altra prospettiva che nel riannodare i fili dell’accordo fra Kerry e Lavrov. Così, dopo cinque anni di una guerra devastante che si è fatta sempre più mondiale, fino a rimettere direttamente di fronte americani e russi come dopo la Baia dei Porci e la crisi dei missili, il bombardamento martellante di un convoglio umanitario con le insegne del soccorso internazionale verso una città di un milione che agonizza passa per uno dei tanti accidenti di guerra.

 

Obama, che ha tenuto un ennesimo gran discorso all’Onu all’indomani del disastro, ha sbrigato in una frase o poco più il capitolo (il capitolo) della Siria. Daniele Raineri ha spiegato qui come i soccorritori siano in quel contesto a loro volta ostaggi del confronto spietato fra i contendenti, in cui anche la morte per fame è uno strumento ordinario, come negli assedi dell’intera preistoria che ancora trionfa. C’è un nostro distratto modo di dire: “Sparare sulla Croce Rossa”. Troppo facile, vuol dire. Infatti.

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