Viktor Orban (foto LaPresse)

L'ipocrisia del referendum ungherese

Adriano Sofri
Viktor Orban ha indetto un referendum per il prossimo 2 ottobre. Il popolo ungherese dovrà pronunciarsi sul quesito: siete favorevoli a che sia l’Unione europea a decidere sulla quota di immigrati da accogliere nel vostro paese? La risposta è ovviamente scontata, e il referendum si svolgerà a porte chiuse, per così dire.

Viktor Orban ha indetto un referendum per il prossimo 2 ottobre. Il popolo ungherese dovrà pronunciarsi sul quesito: siete favorevoli a che sia l’Unione europea a decidere sulla quota di immigrati da accogliere nel vostro paese? La risposta è ovviamente scontata, e il referendum si svolgerà a porte chiuse, per così dire. Ma il tema è particolarmente istruttivo. Ho sentito ieri a Radio 3 Mondo la signora Vasarely Yulia fornire da Budapest una serie di informazioni. La quota di immigrati (in realtà rifugiati, ma il regime di Orban evita con cura di chiamarli così) sarebbe di 1.300 persone. E mentre l’Ungheria si rovina in muri e fili spinati in Gran Bretagna ci sono “almeno 2-300 mila migranti economici ungheresi”, oltretutto ora minacciati dalla Brexit. Nel voto britannico, ha giustamente osservato Vasarely, l’immigrazione ha avuto un peso decisivo, ma più per gli immigrati europei che per i profughi. E fra gli europei in particolare i polacchi – che sono quasi un milione – e gli ungheresi. L’ipocrisia del referendum di Orban è dunque plateale. Giorni fa un servizio del Guardian da un quartiere londinese pressoché per intero polacco raccontava che anche i commercianti indiani vi si mimetizzano inalberando insegne e scritte in polacco. Mi sono ricordato degli anni ormai lontani – gli Ottanta – in cui arrivarono in Italia i lavavetri polacchi, e i nostri zingari, spodestati dalla loro concorrenza, si ossigenavano per passare anche loro per polacchi.

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