Faruk Hadzibegic (foto LaPresse)

Il calcio, la guerra e l'eroe romantico Faruk Hadzibegic

Adriano Sofri
Un manuale di storia contemporanea può esitare tra due inizi. Primo inizio: Negli intervalli fra le guerre, gli uomini giocano a pallone. Secondo inizio: Negli intervalli fra i tornei di pallone, gli uomini fanno le guerre. Per decidere bisogna chiedersi se il campionato in corso si stia svolgendo nel Dopoguerra, o nell’Anteguerra. Dopo la guerra scorsa, prima della prossima.

Un manuale di storia contemporanea può esitare tra due inizi. Primo inizio: Negli intervalli fra le guerre, gli uomini giocano a pallone. Secondo inizio: Negli intervalli fra i tornei di pallone, gli uomini fanno le guerre. Per decidere bisogna chiedersi se il campionato in corso si stia svolgendo nel Dopoguerra, o nell’Anteguerra. Dopo la guerra scorsa, prima della prossima. Guerra e campionato possono anche sovrapporsi e fare corto circuito, grazie ad avanguardie come l’assassino di lunedì a Parigi, 25 anni, criptocalciatore, che ha trucidato un padre e una madre, si è gingillato con la sorte di un bambino di tre anni, e ha proclamato che “gli Europei saranno un cimitero”. Pochi libri sono stati così incolpevolmente tempestivi come quello in cui Gigi Riva – “il giornalista, non il calciatore!” – racconta la vicenda bastarda del calcio e della guerra scegliendosi un eroe romantico, Faruk Hadzibegic, bosniaco, musulmano, ultimo capitano della nazionale jugoslava. L’uomo che a Firenze 1990 mancò il rigore che avrebbe eliminato l’Argentina di Maradona e mandato la Jugoslavia in finale dei Mondiali. L’uomo che non uccise Liberty Valance.

 

Gli Europei di Francia sono una specie di lettino autoptico della geopolitica contemporanea. Vado pazzo per gli svizzeri, che sono per lo più albanesi, foreign fighters, universal soldiers. Non credo che si tratti soprattutto della riscossa dei nazionalismi. Il tifo per le nazionali di oggi è piuttosto il trasloco provvisorio del tifo per le squadre di club, tribale più che nazionale. Si scherza su Austria-Ungheria, ma già i gloriosi Puskas e compagni fuggirono in Austria. In giro per il mondo, trovo cose per me istruttive. A Buenos Aires, ai tifosi del Boca è vietato l’accesso allo stadio del River, e viceversa. Fortemente sconsigliato l’accesso ai rispettivi territori anche fuori dagli orari di gioco. In Kurdistan grandi viali sono riservati agli uomini (i maschi, cioè) equamente divisi fra tifosi del Real e del Barcellona. Mentre scrivo, in televisione corrono immagini sovversive di Parigi, forse scioperanti contro la legge del lavoro, forse black-block, forse semplici hooligans. Faruk Hadzibegic sbagliò il rigore e la Jugoslavia andò in frantumi. Chissà a quale episodio degli europei in corso sarà intitolato, come alla rivoltellata di Princip, lo scioglimento dell’Europa. Bastava che Faruk segnasse? Ma no, bastava anche meno. Bastava invertire l’ordine del linguaggio. Non fu Faruk a sbagliare il rigore, fu Goycochea a pararlo. (“L’ultimo rigore di Farouk. Una storia di calcio e di guerra”, Sellerio).

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