Manifestazione a Baghdad (foto LaPresse)

Folle inferocite a Baghdad e l'imminente referendum sull'indipendenza curda

Adriano Sofri
Le cose d’Iraq e di Regione curda, negli ultimi tre giorni, sono ulteriormente precipitate. Eccone un riassunto.

Le cose d’Iraq e di Regione curda, negli ultimi tre giorni, sono ulteriormente precipitate. Eccone un riassunto. Sabato 30 aprile: una folla di seguaci sciiti di Muqtada al Sadr invade il parlamento di Baghdad, abbattendo i blocchi di cemento che proteggono l’accesso, e senza che le Forze armate a protezione della Zona Verde – ufficialmente 110 mila uomini! – muovano un dito. I parlamentari se la squagliano come possono. Il capo del governo, Haider al Abadi, che intendeva far votare il suo rimpasto, viene avvertito un’ora prima (si dirà credibilmente che fosse in combutta con al Sadr). I parlamentari si mettono in salvo attraverso porte secondarie, parecchi si imbarcano in battelli sul Tigri. La folla dà una caccia più accanita a deputati curdi e sunniti, che scappano travestiti da militari o da poveracci. Anche deputati sunniti chiedono e ottengono di rifugiarsi a Erbil sugli aerei inviati a recuperare i parlamentari curdi e lo stesso presidente curdo dell’Iraq.

 

La folla scatenata che occupa e devasta il parlamento – giovani uomini per lo più – abbastanza simile a una mobilitazione di tifoserie offese, viene registrata e intervistata dall’unica telecamera rimasta all’interno, dell’agenzia curda Rudaw. Ostentano la giacca tolta a un deputato, l’agenda di un altro con le pagine bianche – segno, per il dimostrante, che i parlamentari sono fannulloni – l’involucro di una tavoletta di cioccolata: “Mangiano cioccolata, questi corrotti, mentre il popolo muore di fame”. Va da sé che fra i dimostranti c’è davvero chi muore di fame. E’ un colpo di mano e un colpo di stato. Una rivoluzione, diciamo così, che ha qualcosa da dire anche lontano da questa bolgia.

 

Nel frattempo, a sud di Kirkuk, il villaggio chiave di Bashir, dopo una serie di tentativi falliti di toglierlo all’Isis da parte dei “paramilitari” sciiti di Hashd al Shaabi, viene attaccato dai peshmerga curdi e liberato nel giro di due giorni. I bombardamenti aerei della coalizione che aprono la strada sono condotti per la prima volta dai B52. I peshmerga perdono due uomini, e trovano nella cittadina i cadaveri di 18 Hashd al Shaabi. I miliziani sciiti si tengono alla larga dai combattimenti. Le perdite dell’Isis sono ingenti, una ventina nella battaglia – dove, nella malaparata, scelgono di ritirarsi – quasi 200 per il bombardamento. Una mina uccide altri 8 membri di al Shaabi, subentrati, riluttanti, ai peshmerga che lasciano loro Bashir, in tempi normali abitata da una maggioranza di sciiti turkmeni. Una sortita suicida dell’Isis a Bashiq (il nome è solo simile) sul fronte di Mosul, e della famosa diga, provoca sabato altri 2 morti fra i peshmerga, che li ricacciano facendo, dicono, almeno 7 morti. Negli stessi giorni gli attentati suicidi e con autobombe dell’Isis, a Baghdad e nel sud dell’Iraq, fanno molte decine di vittime fra soldati e civili.

 

Il fracasso di Baghdad, venuto per giunta all’indomani della visita di Biden, esalta la difficoltà dell’operazione cui gli americani, e per una volta Obama stesso, tengono di più, ed è davvero la più importante: la controffensiva su Mosul, a quasi due anni dall’occupazione dell’Isis. L’esercito iracheno, sgangherato com’è ancora, non ha una vera autorità cui rispondere, o ne ha troppe fra loro rivali (anche sciite), che è ancora peggio. Le varie milizie sciite sono più brave a taglieggiare e infierire che a battersi, e sono detestate dalla popolazione sunnita da “liberare”. I curdi sono pronti a partecipare alla riconquista di Mosul, ma non a condurla in proprio. Questa incresciosa e torbida situazione rafforza il sedicente realismo politico di chi esorta a rassegnarsi a uno status quo in cui il Califfato si tenga mezza Siria e mezzo Iraq, e si autoaddomestichi a poco a poco.

 

Siamo uomini di mondo: una Polonia intera e una mezza Ucraina lasciate ai nazisti in nome della difesa della Madre Russia. Un effetto è sicuro: il referendum sull’indipendenza curda – comunque formulato, magari nella forma di un assetto “confederale” – già inevitabile, è diventato più imminente. Oltretutto sarà difficile, ora, persuadere i deputati curdi e sunniti a tornare a Baghdad, dopo che se la sono vista così brutta. Dall’altra parte, le rivalità interne al campo sciita si sono così esasperate da far immaginare che sfuggano di mano ai loro pretesi burattinai, locali e iraniani – avendo questi l’ultima parola. Anche fra gli sciiti c’è una specie di tripartizione di fatto: al Hakim a Bassora, al Sadr a Bagdad e al Maliki al centro di Najaf e Kerbala. In questa tragica e grottesca guerra di tutti che cosa possa avvenire di una megalopoli esplosiva come Baghdad, dove gli sciiti sono diventati intanto maggioranza, è una domanda specialmente angosciosa.

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