Alfano e l'emergenza sicurezza

Adriano Sofri
Ho ascoltato il ministro Alfano che esponeva il bilancio annuale dal Viminale, e mi sono ricordato. Mi sono ricordato di quando – vent’anni fa, quindici anni fa – le cronache di giornali e telegiornali, e i dibattiti televisivi e i comizi (erano già la stessa cosa) erano ossessionati dall'emergenza sicurezza.

    Ho ascoltato il ministro Alfano che esponeva il bilancio annuale dal Viminale, e mi sono ricordato. Mi sono ricordato di quando – vent’anni fa, quindici anni fa – le cronache di giornali e telegiornali, e i dibattiti televisivi e i comizi (erano già la stessa cosa) erano ossessionati dall'emergenza sicurezza. Non c’era una strada sicura nelle sere italiane, non una casa, e gli stranieri – “gli albanesi!”, “i rumeni!” – erano in agguato dovunque. I complici dei criminali osavano evocare la condizione delle carceri, invocare clemenze – fra loro c’era qualche Papa, come al solito – e venivano prontamente additati alla pubblica esecrazione. Insomma, ve lo ricorderete anche voi, se non siete nati ieri, in un senso o nell’altro. E proprio ieri il ministro Alfano vantava in tono comprensibilmente compiaciuto la riduzione dei delitti in Italia: almeno il 10 per cento in meno rispetto all’anno scorso, quando già erano stati il 7 per cento in meno. Diminuiti tutti i più temuti: omicidi, rapine, furti. Io sono contento, naturalmente, ma mi piacerebbe che chi pronuncia e chi sente pronunciare questa notizia si battesse la mano sulla fronte ed esclamasse: “Incredibile! Una tale riduzione della criminalità! E intanto gli stranieri, i migranti, non hanno fatto che moltiplicarsi: erano già un’invasione allora, oggi sono, a sentire i soliti, un’invasione di invasioni!”. In tanto cambiamento, su una certezza possiamo contare, salda come una roccia: che a evocare le condizioni della galera, o ad auspicare, addirittura, clemenze – c’è sempre qualche Papa – si passa per complici dei criminali. Paese fortunato, italiani brava gente, li guardi Dio.