Guerra o no, in Italia c'è diseducazione alla polizia internazionale

Adriano Sofri
Giovedì ho ascoltato il discorso di Matteo Renzi al “Dialogo mediterraneo”, l’ho trovato molto buono, e ne sono stato insoddisfatto. Io non ritengo essenziale che i Tornado italiani si uniscano o no a quelli della coalizione che bombardano. Ritengo ridicolo che si rivendichi la mancata partecipazione diretta ai bombardamenti, e ancora peggio si deplorino i bombardamenti.

    Giovedì ho ascoltato il discorso di Matteo Renzi al “Dialogo mediterraneo”, l’ho trovato molto buono, e ne sono stato insoddisfatto. Sempre giovedì sono state diffuse le riprese del Predator italiano sui territori occupati dall’Isis in Iraq, servite a segnalare bersagli ai raid aerei. Io non ritengo essenziale che i Tornado italiani si uniscano o no a quelli della coalizione che bombardano. Ritengo ridicolo che si rivendichi la mancata partecipazione diretta ai bombardamenti, e ancora peggio si deplorino i bombardamenti, quando si fa una propria parte perché avvengano e raddrizzino la mira.

     

    Matteo Renzi sa benissimo che quei bombardamenti sono stati e sono necessari, a salvare vite, a fermare l’avanzata dell’Isis, a costruire le condizioni di un recupero. Quando dice di voler fare quello che è giusto, e non di compiacere i “commentatori”, deve anche sapere di stare dispiacendo forse a qualche ardito dell’ultima ora, ma di stare compiacendo a una gran parte di sprovveduti che si credono pacifisti e credono che l’Italia si stia dissociando dall’azione armata. Cioè di puntare alla botte piena e al cognato ubriaco.

     

    Renzi ha detto – ovviamente – che la priorità è la distruzione dell’Isis. Bene. Tutte le cose giuste che dice sull’impegno culturale e sull’umanità da tenere a cuore verso i migranti – prodotto della violenza impunita di Bashar el Assad e dell’Isis e confratelli – hanno poco o niente a che vedere con la distruzione dell’Isis, salvo che le si assegni qualche decennio. E ripetere che “le armi da sole non possono bastare” è una buona idea, a condizione di trovare qualcuno che sostenga seriamente che “le armi da sole bastano”. Renzi, in questo in vastissima compagnia, ma da lui ci si aspetterebbe una soggezione minore a pregiudizi ideologici, vuole trascurare una condizione decisiva: che in Italia, quanto e più che nel resto d’Europa, si è propagandata una “educazione alla pace” che, piuttosto che insegnare ad aborrire e prevenire le guerre, è diventata sempre più, fino alla giaculatoria, una diseducazione alla tutela della legalità internazionale e alla difesa di popoli e minoranze perseguitate. Una diseducazione alla polizia internazionale. Cui le ripetute generiche frasi contro “i bombardamenti” carezzano il pelo. Quanti ne conoscete che amino “i bombardamenti”? E se gli americani, e qualcun altro in coda a loro, non avessero deciso “i bombardamenti” su Ninive e il Sinjar in cui Renzi denunciò il genocidio in corso, chi li avrebbe decisi? Il nostro Predator avrebbe avvistato gli scherani al lavoro e ne avrebbe compilato un album fotografico per gli archivi del genocidio? Ora alla “guerra” siamo arrivati: la guerra infatti esiste dal momento in cui ci si rassegna a chiamarla così. I nemici l’hanno chiamata così da sempre, perché la loro è una vera “educazione alla guerra”. Dio non voglia che dalle nostre parti non diventi indispensabile promuovere corsi accelerati di “rieducazione alla guerra”.