Lo strano caso del petrolio curdo in Iran

Adriano Sofri
Vorrei integrare le notizie sullo smercio di petrolio dal Kurdistan iracheno, il KRG, attraverso la Turchia a Israele, e a Italia, Francia, Grecia, pubblicate dal Financial Times e già qui commentate.

    Vorrei integrare le notizie sullo smercio di petrolio dal Kurdistan iracheno, il KRG, attraverso la Turchia a Israele, e a Italia, Francia, Grecia, pubblicate dal Financial Times e già qui commentate. Il fatto è che c’è anche un’altra destinazione del petrolio curdo, più singolare: quella dell’Iran. Singolare perché si direbbe che l’Iran abbia un gran bisogno di vendere il suo petrolio, piuttosto che importarlo. In realtà attraverso i tre valichi di frontiera fra KRG e Iran passa quotidianamente una quantità ingente di petrolio: addirittura attorno a un milione di barili al giorno, secondo alcuni miei interlocutori che ritengo affidabili e al corrente. Nella situazione di sospensione di ogni confine fisico, politico e civile dell'intera regione è difficile chiamare questo mercato contrabbando, o all’opposto commercio regolare. Ci sono stati negoziati pubblici fra KRG e Iran, ma l’oggetto era l’esportazione di quantità di petrolio per raffinarlo in territorio iraniano e reimportarlo per il fabbisogno di energia curdo: altro affare. Su questo versante non ci sono pipeline, e l’intero traffico avviene con le autocisterne. L’interesse iraniano consiste nella tariffa: se il petrolio (e il gas) spedito al Mediterraneo prevede degli sconti, quello del versante iraniano è esportato a un prezzo ridotto di almeno un quarto, mi dicono, rispetto a quello di mercato. La comunicazione sul giacimento di gas nel Mediterraneo egiziano scoperto dall’Eni è di quelle che dovrebbero allarmare i conti curdi. Il grande vantaggio del petrolio e del gas curdo, disponibili a fior di terra, consiste nel costo di produzione, incomparabile rispetto a quello del fondo marino.