A Fiumicino ieri si poteva assistere all'intera parabola dei processi rivoluzionari

Adriano Sofri
Il mio aereo decollava da Fiumicino alle 16 e 40. Sono atterrato a Palermo alle 4 e 5 della mattina dopo. Cronaca di un giorno ad aspettare il decollo all'aeroporto di Roma tra incredulità, rabbia e grida aizza folle.

Il mio aereo decollava da Fiumicino alle 16 e 40. Sono atterrato a Palermo alle 4 e 5 della mattina dopo. Nelle undici ore di bivacco aeroportuale ho attraversato l’intera parabola dei processi rivoluzionari. L’incubazione: “Qui c’è puzza di bruciato”. “No, non ti preoccupare, non è di oggi. E’ sempre quella del refrigeratore del bar, non senti che è diossina?”. “Ah, già”. Alla terza ora, le persone davanti ai tabelloni hanno cominciato a interrogarsi sulla ragione dello spostamento progressivo degli orari previsti / estimated. Ma c’era ancora una tranquilla vivacità: “Guarda come si scrive estimated in giapponese!”.

 

Alla quinta ora, nervosismo, che si sfogava soprattutto sui bambini, i quali sono gli unici a sapere a che cosa servono gli aeroporti, inseguendosi nella ressa, andando in giù sulle scale mobili in salita, ed esplorando i contenitori di rifiuti. Alla settima ora, l’assalto ai banchi dei transiti era partito: se almeno ci diceste qualcosa, magari la verità, o ci restituiste i bagagli imbarcati, o ci assicuraste il pernottamento invece di dilazionare in ora in ora per evitarlo… Alcune giovani donne piangevano, altre anziane inveivano, anche i bambini cominciavano a dare segni di stanchezza. All’ottava ora si erano già selezionate alcune avanguardie naturali, uomini, alcuni piuttosto nerboruti, di preferenza diretti a Minorca, che avevano già scavalcato i banchi e incombevano sulle spaurite impiegate, incolpevoli delle scemenze che le rispettive compagnie (si distingueva Vueling) ordinavano loro di dire. Dietro, alcuni altri, più fisicamente prudenti, gridavano cose estreme, contando di aizzare ulteriormente le prime file. Ancora dietro, una maggioranza silenziosa annuiva. Alla undecima ora, disseccati tutti i bar e le macchine distributrici, fra il milione e mezzo di passeggeri disperati si era stabilita una conoscenza pressoché intima. Ci si era incontrati ai gabinetti almeno una dozzina di volte, benché all’inizio si badasse a sceglierli diversi, per dare meno nell’occhio. Un uomo con la camicia bianca e madida non ha mai smesso di andare avanti e indietro gesticolando ad alta voce a un telefono cellulare: forse è stato lasciato.

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