Sergio Mattarella (foto LaPresse)

La lezione di Mattarella

Rocco Todero

Il Capo dello Stato ha ricordato che scioglierà le Camere  solo quando non saranno più in grado d’esprimere alcuna maggioranza

Nel breve comunicato alla Nazione sullo stato della crisi di Governo inaugurata dalla dimissioni di Giuseppe Conte, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha spazzato via tutte le teorie fantasiose circa le condizioni in presenza delle quali diventerebbe necessario procedere allo scioglimento delle Camere.

Nei giorni scorsi si sono susseguite prese di posizione più o meno interessate secondo le quali alla caduta del Governo giallo verde avrebbe dovuto fare seguito l’immediata cessazione della legislatura e la conseguente indizione dei comizi elettorali. 

Le contestazioni davvero più banali e partigiane sono state quelle di coloro che non si sono resi conto che in un sistema istituzionale caratterizzato dal regime parlamentare e dal meccanismo elettore proporzionale, la legittimazione a formare il Governo appartiene indifferentemente a tutte le forze politiche che messe insieme raggiungono e superano la maggioranza dei componenti di Camera e Senato.

L’argomentazione più capziosa, invece, è stata quella di chi ha richiamato la crisi di rappresentatività che il risultato delle recenti elezioni europee avrebbe determinato all’interno del  Parlamento repubblicano insediatosi dopo il 4 marzo 2018.

Il ribaltamento dei rapporti di forza elettorali fra il movimento cinque stelle e la lega capeggiata da Matteo Salvini, conseguenza diretta del responso delle elezioni del 26 maggio, avrebbe reso necessario ricalibrare la composizione del Parlamento nazionale in conformità all’orientamento espresso dal cittadini.

Si tratta di una tesi che si richiama sopratutto al precedente con il quale il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nel gennaio 1994 sciolse le Camere proprio in virtù della crisi di rappresentatività che a suo giudizio aveva investito l’intero Parlamento eletto nell’aprile del 1992. In una lettera indirizzata ai presidenti di Camera e Senato, l’allora Capo dello Stato, pur prendendo le mosse dalla natura fisiologica della durata della legislatura, osservò come l’approvazione del referendum sul nuovo sistema elettorale (convalidato dall’80% dei votanti) e il risultato delle elezioni amministrative del giugno e del novembre 1993, avessero “evidenziato un divario molto sensibile tra le forze rappresentate oggi in Parlamento e la reiterata volontà popolare”, divario che richiedeva il riallineamento della compagine parlamentare ai desideri degli elettori.

Come ebbe modo di osservare Giorgio Napolitano, la scelta del Presidente Scalfaro poteva ritenersi legittima solo alla luce della specialissima circostanza che venne a determinarsi in quel frangente, nel corso del quale era crollato l'intero castello dei partiti della prima Repubblica e gli elettori avevano espresso il desiderio di votare con un nuovo sistema elettorale.

Fuori da quello specifico contesto la scelta di Scalfaro risulterebbe criticabile per molteplici ragioni, tant'è vero che essa non sembra abbia mai fatto breccia tra la maggioranza degli studiosi oltre che fra gli altri inquilini del Quirinale.

A tacer d’altro si potrebbe evidenziare come non dovrebbe essere ammissibile raffrontare risultati elettorali che, pur coinvolgendo una parte rilevante dell’elettorato, riguardano competizioni radicalmente differenti, dall’esito delle quali non è possibile desumere la disapprovazione di questo o quell’indirizzo politico governativo e parlamentare. 

Per non parlare del fatto che la lettura dei risultati elettorali si presta a non univoche interpretazioni e dipende, oltre che dai condizionamenti territoriali di non poco rilievo, anche dall’entità del corpo elettorale coinvolto.

La conseguenza, in ogni caso, dovrebbe essere quella di condizionare la durata della legislatura ai risultati delle numerose elezioni amministrative, regionali ed europee che si susseguono a scadenze più o meno ravvicinate.

Con il discorso di giovedì 22 agosto il Presidente Mattarella ha fatto piazza pulita di tutte le tesi bislacche che sin qui siamo stati costretti ad ascoltare da analisti ed osservatori non proprio disinteressati.

La legislatura, ha ripetuto il Capo dello Stato, dura ordinariamente cinque anni e finché le forze parlamentari saranno in grado d’esprimere una maggioranza non vi sarà ragione di sciogliere le Camere anticipatamente. Solo la paralisi del Parlamento imporrà, secondo Costituzione, d’indire nuove elezioni nazionali.

Chapeau!