Giuseppe Conte (foto LaPresse)

Non sparate sul Presidente!

Rocco Todero

Il presidente del Consiglio dei ministri non governa, né comanda; è alla mercé del primo Matteo Salvini di turno. Problemi istituzionali

C’è un tratto superficiale e semplicista anche nelle critiche che sono piovute addosso a Giuseppe Conte dopo il discorso al Senato con il quale il Presidente del Consiglio dimissionario ha marcato tutta la differenza che lo separa dallo stile, dalla cultura e dall’azione politica di Matteo Salvini.

 

In molti hanno ironizzato sul ravvedimento tardivo del Capo del Governo, il quale avrebbe preso consapevolezza della nefasta compagnia del Ministro dell’Interno solo dopo 14 mesi di condivisione di politiche scellerate.

 

Altri con tono più serio hanno ricordato come il ruolo del Presidente del Consiglio non tollererebbe un atteggiamento d’accettazione supina dell’iniziativa di qualsiasi Ministro e che lamentarsi dell’eccessivo protagonismo del leader della Lega non rappresenterebbe altro oggi che una manovra ipocrita ed opportunista, per assicurarsi un futuro politico magari nello stesso ruolo sinora ricoperto, ed uno svilimento della figura costituzionale del Capo del Governo.

 

I censori di Giuseppe Conte, tuttavia, farebbero bene a imitarsi a rimproverargli semplicemente l’adesione ad un progetto politico che nel merito si è rivelato fallimentare e che s’ispirava a principi difficilmente condivisibili, atteso che, per il resto, la tirata d’orecchie, colorata di venature moraliste,  non coglie in alcun modo nel segno.

 

Innanzitutto, il Presidente del Consiglio ha affermato di avere più volte tentato negli ultimi mesi di redarguire il Ministro dell’Interno, di ricondurlo dentro l’alveo dell’indirizzo politico del Governo, di riaffermare il proprio ruolo di garante dell’omogeneità dell’azione dell’Esecutivo. 

 

Nella sua replica al Senato Matteo Salvini non ha smentito la versione di Giuseppe Conte ed ha così confermato che il Presidente del Consiglio ha tentato in diverse occasioni d’instaurare una dialettica serrata volta al contenimento del Ministro dell’interno, senza tuttavia riuscire nel proprio intento.

 

A meno di non pretendere le dimissioni del Presidente del Consiglio all’indomani di ogni singola frizione con qualche componente del Governo, non si vede cosa avrebbe potuto fare Giuseppe Conte (o chiunque altro nelle suo ruolo) per arginare od opporsi alla tracotanza di un Ministro come Matteo Salvini.

 

Il Presidente del Consiglio, infatti, è semplicemente un primus inter pares, non può, nella sostanza, scegliersi i ministri, non può revocarli, non può avocare a sé le competenze dei titolari dei dicasteri, non può revocare o annullare i provvedimenti assunti da ciascun membro del Consiglio dei Ministri. Può semplicemente sospendere l’adozione (non già l’efficacia) di atti da parte dei Ministri competenti ed investire il Consiglio dei Ministri, ma non può nemmeno impedire a ciascun Ministro d’esternare pubbliche dichiarazioni sopratutto allorché queste riguardino l’esclusiva responsabilità del singolo membro dell’Esecutivo (legge n. 400/1988).

 

Il Presidente “dirige” la politica “generale” del Governo, mantiene l’unità d’indirizzo politico, “promuove” e “coordina” l’attività dei Ministri, ma, inutile girarci intorno, non governa, né comanda, anche perché i Ministri sono responsabili non solo collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, ma anche, individualmente degli atti dei loro dicasteri, vale a dire sono titolari d’una responsabilità individuale che non incontra alcuna interferenza del Capo del Governo. 

 

Solo per fare un esempio che coinvolge direttamente Matteo Salvini, si deve ricordare che il Ministro dell’Interno è titolare esclusivo delle potestà in materia di ordine e sicurezza pubbliche (potestà che vengono in rilievo in materia d’immigrazione) ed egli per legge non le condivide affatto con il Presidente del Consiglio dei Ministri. 

 

A ciò deve aggiungersi che sul piano squisitamente politico la figura di Giuseppe Conte è risultata molto debole, perché schiacciata dalle ingombranti sagome dei due vice presidenti del Consiglio, azionisti di maggioranza e leader incontrastati, direttamente investiti dal mandato elettorale a differenza del Premier, dei partiti che hanno dato vita all’Esecutivo giallo verde.

 

La nostra forma di Governo ed il concreto equilibrio delle forze politiche hanno consentito a Giuseppe Conte di fare l’unica cosa prevista dall’articolo 95 della Costituzione: dichiararsi responsabile della politica generale del Governo e dimettersi quando non è stato più in grado di dirigerla uniformemente.

 

Non sparate sul pianista.