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Liberi e uguali, incoerenti e spregiudicati

Rocco Todero

Il nome del partito di Pietro Grasso e l'impostura ideologica della prossima campagna elettorale 

Nel fortunato libretto “Destra e Sinistra - ragioni di una distinzione politica”, il filosofo Norberto Bobbio individuò nella maggiore propensione a realizzare una società di persone uguali il tratto distintivo delle formazioni partitiche che a vario titolo si sono richiamate dalla rivoluzione francese in poi alla categoria politica della cosiddetta sinistra.

 

Bobbio non ebbe remore però ad affermare come la ricerca di un maggiore livello di uguaglianza rischi di compromettere gli spazi all’interno dei quali gli individui possono esercitare la loro libertà, per il semplice fatto che una società con meno diseguaglianza è l’esito di un processo di correzione continua, (da parte dell’autorità statale) dei risultati della libera cooperazione sociale.

 

Qualche decennio prima era stato già Isaiah Berlin a sottolineare come gli interventi che tendono a riequilibrare le differenze sociali restringano gli ambiti di quella che egli definiva la libertà negativa, lo spazio, cioè, all’interno del quale si dovrebbe “permettere al soggetto di fare o essere ciò che è capace di essere e fare, senza interferenze da parte di altre persone”.

 

Basterebbero queste due semplici citazioni per svelare la spregiudicatezza di coloro che in Italia hanno dato vita ad una formazione politica che già nel nome pretende di coniugare libertà ed uguaglianza, due termini che la filosofia politica ci ricorda, invece, essere stati pressoché costantemente antitetici ed inconciliabili.

 

Il gioco di prestigio risulta agevole allorché si accostano all’uguaglianza le libertà civili il cui esercizio non genera risultati che incidono sulle condizioni individuali altrui. Non è un caso, infatti, che gli esponenti del mondo politico di sinistra e quelli di “Liberi e Uguali”, in particolare, sottolineino il valore di una sfilza di libertà civili che ben possono essere coniugate con l’uguaglianza economica e sociale.

 

Siamo oltre l’impostura, invece, quando si omette di spiegare chiaramente come l’uguaglianza sia nemica giurata della libertà economica, la quale, ai fini di assicurare l’espressione della personalità individuale (oltre che adeguati livelli di benessere generale), non è seconda a nessun’altra.

 

Tutte le volte, infatti, che i risultati della libera cooperazione sociale non sono graditi perché generatori di disuguaglianza, si rende necessario l’intervento statale che deve correggere gli esiti dell’esercizio della libertà economica o, ancor più a monte, limitarne oltremodo gli ambiti di riconoscimento della legittimità. E tanto più l’intervento correttivo dell’autorità è intenso (tasse elevate, burocrazia estesa, Stato assistenziale diffuso, protezionismo selettivo) tanto più la libertà economica (e la libertà tout court) è ridotta a mero simulacro.

 

Se Ludwig von Mises ha spiegato egregiamente come “Coloro che domandano una maggiore interferenza governativa chiedono in definitiva maggiore coercizione e minore libertà”, Friedrich von Hayek ha dimostrato puntualmente come sia privo di senso chiamare in causa la “giustizia sociale" per stigmatizzare quella distribuzione della ricchezza che rappresenta niente altro che l’esito dell’esercizio di miliardi di libertà individuali. Ciò che è frutto dello scambio fra persone libere non può che essere giusto per definizione, mentre la correzione dello svolgimento della cooperazione sociale richiede necessariamente coercizione e limitazione della libertà individuale.

 

L’innovazione tecnologica, ad esempio, distrugge posti di lavoro non più remunerativi, ma rappresenta l’esercizio della libertà individuale degli imprenditori ed è premiata dalla libertà individuale di miliardi di consumatori. Per riportare il sistema economico ad un maggiore livello di eguaglianza non vi è altra strada che quella d’interferire nello svolgimento della libertà e limitarla in grande misura.

 

Allo stesso modo, imporre limiti alla globalizzazione per il tramite di manovre protezionistiche non significa altro che limitare la libertà di chi produce ed acquista beni e servizi senza badare ai confini degli Stati nazionali. 

 

Ed infine, tassare proditoriamente gli individui con la scusa della redistribuzione e dell’attuazione dell’articolo 3, secondo comma, della Costituzione repubblicana, vuol dire confinare la libertà individuale in un angusto spazio le cui dimensioni dipendono esclusivamente dall’arbitrio dello Stato e della classe politica egemone.

 

O liberi, o uguali.  

 

Oppure liberi e uguali e, allo stretto tempo, incoerenti e spregiudicati.