Dario Franceschini (foto LaPresse)

Il Ministro Franceschini faccia un tweet contro il suo staff

Perché ha ragione il TAR del Lazio ad annullare le nomine dei direttori dei musei

Rocco Todero

La decisione del TAR Lazio è ineccepibile, la condotta del Ministero dei beni e delle attività culturali invece no

E’ comprensibile l’amarezza con la quale il Ministro Franceschini ha accolto la decisione del Tar del Lazio di annullare le procedure selettive per la nomina di 5 complessi museali italiani. Chi si pone al vertice della direzione politica di un ramo dell’amministrazione statale ha tutto l’interesse a coltivare il concreto raggiungimento di obiettivi pratici che preludano alla migliore erogazione delle prestazioni della pubblica amministrazione ai cittadini ed ai fruitori dei servizi culturali nel caso specifico. E’ naturale che dopo molto lavoro, articolatosi in un procedimento amministrativo di selezione durato più di due anni, scoprire di dover ricominciare da capo (a fine legislatura) sia una sorpresa che non si possa accogliere col sorriso sulle labbra.

Ha errato, tuttavia, il Ministro dei beni culturali a scaricare sul Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio la responsabilità di questo fallimento della sua azione di Governo. Il tweet con il quale, in particolare, Franceschini ha detto di non avere parole per commentare la decisione del Tribunale (lasciando intendere, peraltro, che la sua chiosa non potrebbe che essere molto critica nei confronti dei giudici amministrativi) ha alimentato una sfilza di opinioni sui social davvero irriguardose nei confronti dell’organo della giustizia amministrativa e del tutto errate in fin dei conti.

 

Il Ministro Franceschini dovrebbe chiedere conto e ragione al suo staff ministeriale ed alla sfilza di collaboratori che lo assistono nell’azione di Governo sulle seguenti circostanze poste in evidenza dal Tribunale romano.

 

Corrisponde a verità l’affermazione del TAR del Lazio secondo la quale è principio pacifico che le selezioni comparative per l’accesso al pubblico impiego nella amministrazione italiana debbano di necessità svolgersi “a porte aperte”? Perché, dunque, i colloqui per la selezione dei direttori dei musei si sono svolti senza consentire ad alcuno di potere assistere? Vi è qualche principio derogatorio o ragione eccezionale che possa giustificare la condotta della pubblica amministrazione nel caso specifico?

 

Corrisponde a verità l’affermazione del TAR del Lazio secondo la quale ai sensi dell’articolo 38 del testo unico sul pubblico impiego “I cittadini degli Stati membri dell'Unione europea e i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell'interesse nazionale”? Può la predetta disposizione essere immotivatamente derogata per consentire a cittadini stranieri di assumere l’ufficio di dirigente del museo che presuppone l’esercizio di poteri pubblici? Può un Tribunale della Repubblica soprassedere sull’applicazione di una norma di legge ancora vigente?

 

Corrisponde a verità l’affermazione del TAR del Lazio secondo la quale il punteggio numerico con il quale sono stati giudicati i concorrenti alla selezione pubblica deve essere ricondotto ai criteri predeterminati dalla stessa commissione giudicatrice e non può essere svincolato del tutto dal riferimento alle predette linee guida?

Una riflessione più serena, forse, potrebbe indurre il Ministro dei Beni Culturali a trarre due conclusioni: a) le procedure per la selezione dei direttori dei musei italiani non sono state in grado di dimostrare, oggettivamente, che la scelta sia caduta sui migliori candidati; b) le procedure per la selezione dello staff e dei collaboratori del Ministro Franceschini nemmeno.

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