Josè Mourinho (foto LaPresse)

Perché Luca Lotti dovrebbe prendere esempio da Mourinho

Maurizio Crippa

Dopo la sconfitta col Bournemouth, anziché piagnucolare, il Genio ha ribaltato il tavolo della comunicazione ed è passato all’attacco

Il mio rapporto con José Mourinho è più lineare, per così dire, di quello di Matteo Renzi col su’ babbo. Qualsiasi cosa dica e faccia, perdesse pure le partite peggio che fossero dei referendum. Il Filosofo è il Filosofo. Punto. Gli altri al massimo sono dei toupé che stravincono il campionato col Chelsea, e se un giorno arriveranno sulla panca giusta di Milano, allora e solo allora mi porrò il problema. Ad esempio questo weekend Mourinho ha dato sfoggio sublime di cosa voglia dire essere Mourinho. La squadra ha fatto pena, ha pareggiato in 11 contro 10 contro il Bournemouth, che è un po’ come perdere le primarie in Emilia Romagna. Ibra il peggiore in campo, sembrava Cuperlo, e ha sbagliato persino un rigore. Ma anziché piagnucolare, il Genio ha ribaltato il tavolo della comunicazione ed è passato all’attacco. Dei giornalisti: “Perché non mi chiedete perché abbiamo sbagliato il rigore? Perché non ci siamo allenati per quattro mesi. I giocatori hanno deciso di non provare i rigori perché non ne abbiamo mai a favore, quindi il giorno in cui ne abbiamo uno, i ragazzi non sono pronti”. Che se Luca Lotti, anziché fare il ministro sportivo, rispondesse in questo modo ai gazzettieri delle procure, non sarebbe messo così. Poi ha aspettato nel corridoio degli spogliatoi il difensore del Bournemouth Tyrone Mings (una specie di Emiliano con la bava alla bocca), che ha fatto un fallo da arresto su quel povero innocente di Zlatan, e gliele ha cantate. Avesse avuto qualche anno di meno, gliele avrebbe anche suonate. Poi, in sala stampa, ha fatto il moralmente superiore: “A me non interessa nulla di lui”. E niente, Mourinho è Mourinho. Perdesse anche il congresso, noi con gente che si chiama Orlando o Antonio Conte, non ci andremmo mai.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"