AMMORE E MALAVITA

La recensione del film dei Manetti Bros., con Giampaolo Morelli, Serena Rossi, Claudia Gerini,Carlo Buccirosso (Netflix, o a noleggio su varie piattaforme)

Mariarosa Mancuso

Bravi, bravissimi. Fermo restando che il brevetto, in materia di criminalità organizzata & canzonette, tocca a Roberta Torre con “Tano da morire”, anno 1997. La Vucciria con colonna sonora di Nino D’Angelo anticipa il ballo ospedaliero con flebo attaccata, i morti ammazzati che risorgono per un coro in stile “Grease”, e la strepitosa scena iniziale di “Ammore e malavita” con il defunto che canta steso nella bara. Canta e si lamenta, perché non riconosce nessuno dei dolenti. Tutto sarà chiarito di lì a poco, dalla vedova del boss Claudia Gerini, che ha fatto la propria educazione – sentimentale e no – guardando film. Strepitosa, come tutti. Anche i turisti che vanno in gita con il pulmino a Scampia, nella speranza di farsi rapinare (“The real Naples experience”: poteva stare nell’elenco delle esperienze proposte da Airbnb, prima del coronavirus: non più solo case, anche avventure cittadine con ciceroni improvvisati). Da “Zora la vampira”, i Manetti si sono fatti un nome girando film di genere. “Ammore e malavita” ha tanti numeri musicali ben fatti e spassosi, come la cover di “What a Feeling” (da “Flashdance”): Serena Rossi tira fuori una voce da opera lirica più che da sceneggiata napoletana. Si esce dal cinema (ooops, si usciva dal cinema) canticchiando. Visto in sala, era appesantito da un’inutile gita a New York. Visto in casa si può tranquillamente dividere in due parti, come una miniserie (l’intervallo ve lo facevano pure in sala, e tanti hanno spezzettato con soddisfazione pure “The Irishman” di Martin Scorsese). Per raddoppiare, su RaiPlay trovate “Song’e Napule”, il film che i Manetti Bros. hanno girato prima di “Ammore e malavita”. Altrettanto divertente, molto ben scritto e meno smanioso di una promozione in serie A.

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