Captain Marvel

La recensione del film di Anna Boden e Ryan Fleck, con Brie Larson, Jude Law, Samuel L. Jackson

Mariarosa Mancuso

Le donne devono aspettare il loro turno dopo i neri. Non solo alla Casa Bianca, anche nell’universo Marvel (Wonder Woman non conta perché appartiene dall’universo rivale DC Comics). A giudizio dei fan, “Captain Marvel” si incastra perfettamente tra i film passati e i film futuri – compaiono Nick Fury e lo S.H.I.E.L.D, organizzazione segreta antiterrorismo che coordina gli sforzi dei supereroi. Siccome torniamo indietro al 1995, Samuel L. Jackson è ringiovanito al computer, e nonostante questo ha più espressioni della supereroina Brie Larson, un talento che facciamo fatica ad apprezzare. Su di lei i fan – dei fumetti Marvel, non dell’attrice – sono divisi: chi la considera una campionessa di femminismo, chi la sciagura del film. Che parte benissimo, con un montaggio delle apparizioni di Stan Lee nei film tratti dai suoi fumetti. E cade prestissimo, dopo un delirio tra Brie Larson e Jude Law sul tema “ti fai prendere dalle emozioni, non sarai mai una guerriera”. Dopo una battaglia contro gli Skrull, giganti verdi che ora prendono forma di vecchietta, ora di impiegato al catasto. Dopo un dialoghetto filosofico sulla “suprema intelligenza che ognuno si figura modo suo”.

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