IL CASTELLO DI VETRO

La recensione del film di Destin Daniel Cretton, con Brie Larson, Woody Harrelson e Naomi Watts

Mariarosa Mancuso

Per la serie: infanzie disastrose. Materia ideale, quando sei cresciuto – o forse sarebbe meglio dire sopravvissuto – per rievocarla in un bestseller che diventerà un film. Nel genere, abbiamo prima letto e poi visto “Correndo con le forbici in mano” (romanzo di Augusten Burroughs, film di Ryan Murphy) e la serie “I Melrose” con Benedict Cumberbatch (la saga autobiografica era di Edward St Aubyn). “Il castello di vetro” era un memoir di Jeannette Walls (in italiano da Piemme). Seconda di quattro fratelli cresciuti – eufemismo -– da una madre pittrice e da un padre alcolizzato, forse anche molestatore. Si sposta di casa in casa, sempre cadenti o rese tali dall’incuria, inseguito dai creditori o alla ricerca di un lavoro. Brie Larson è la figlia grande, ormai sposata con un analista finanziario (il padre al solo pensiero ha un attacco isterico). Elegantissima, di bianco vestita, truccata e senza un capello fuori posto cerca di far pace con i genitori che non le davano da mangiare e la buttavano in piscina per insegnarle a nuotare. Naomi Watts e Woody Harrelson sono gli sciamannati, il castello di vetro un sogno che mai si realizzerà.

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