TRE VOLTI

La recensione del film di Jafar Panahi, con Mariziyeh Rezaei, Behnaz Jafari, Maedeh Erteghaei, Jafar Panaji

Mariarosa Mancuso

Gli arresti domiciliari decretati dal governo di Teheran – niente passaporto, 20 anni senza girare – costringono Jafar Panahi a ingegnarsi. Non può andare ai festival, ma riesce comunque a dirigere film e a farli circolare: “Tre volti” era l’anno scorso a Cannes, dove ha vinto il premio per la sceneggiatura (minimale, scritta dal regista che già immagina le difficoltà di ripresa). L’automobile evidentemente viene considerata domicilio, dai censori iraniani. “Closed Courtain” era tutto in una casa con le tende tirate (un regista alle prese con una sceneggiatura importunato da una sconosciuta alla porta, forse una spia), “Taxi Teheran” e “Tre volti” sono quasi interamente a bordo di un’auto. Si inizia con un video formato instagram (ai lati dell’immagine verticale lo schermo è nero). Una ragazza in affanno e sul punto di piangere racconta – rivolgendosi a una famosa attrice – il suo desiderio di recitare e le difficoltà del mestiere, poi indica un cappio che pende dalle rocce, si infila la corda al collo e si suicida. La famosa attrice guarda il video e chiama il regista Jafar Panahi (personalmente di persona, come in tutti suoi film dalla prigionia). Ha bisogno di un occhio professionale: il video è vero, la ragazza si è suicidata come sembra? oppure si tratta di un fake, per attirare l’attenzione? Attrice e regista si mettono in macchina, diretti a Nordovest dove l’Iran confina con la Turchia – il video, vero o falso che sia, sembra girato da quelle parti. Puro stile Panahi, che negli ultimi film sembra ossessionato dal rapporto tra finzione e realtà, con tendenza verso il meta-film, vale a dire il cinema che riflette su se stesso invece di raccontare storie senza farsi tanti problemi. E puro neorealismo alla Abbas Kiarostami, il paziente zero che cominciò a girare per i festival contagiando allo stile deserto-con-bambino i registi compaesani. Tranne Asghar Farhadi, che speriamo rinsavisca dopo “Tutti lo sanno” con gli ingombrantissimi Penelope Cruz e Javier Bardem. Panahi dimostra di conoscere l’esistenza e l’uso degli smartphone (sempre a Cannes, quest’anno Jean-Luc Godard fece la conferenza stampa via FaceTime) ma coltiva lentezze d’altri tempi.

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