DOVE NON HO MAI ABITATO

di Paolo Franchi, con Emmanuelle Devos, Fabrizio Gifuni, Giulio Brogi, Giulia Michelini

Mariarosa Mancuso

Non avendo una borghesia degna del nome – e anzi usando ancora il termine come un insulto – il cinema italiano la reinventa lavorando di fantasia. I segnali sono: cappotti di cammello, appartamenti con molto beige e luci soffuse, l’architetto come unica professione, dialoghi sussurrati, sguardi inespressivi – quindi per convenzione considerati intensi. Su intrecci che non reggerebbero un cortometraggio.

  

Risposta telefonata dei critici: “profondo, emozionante, così va fatto il cinema”. Risposta del normale spettatore che paga il biglietto – e se decide di non pagarlo, scegliendo “Blade Runner” o “Dunkirk” non ha nessuna voglia di vederselo rifilato in tv, prima serata, come impone la legge autarchica firmata dal ministro Dario Franceschini – “ma non succede niente”. Non succede niente, ma proprio niente niente.

   

L’unica soddisfazione viene dal gergo dell’architetto Fabrizio Gifuni in maglione a collo alto (così si capisce che è architetto): “Il volume di sinistra lo farei rivestire di acetato che lega molto con la montagna”. Stanno parlando di una villa in riva al laghetto, rifugio d’amore per una giovane coppia che vuole lasciare Torino. Affari loro, vien da dire. L’architetto incaricato, appunto Fabrizio Gifuni, è l’allievo prediletto dell’architetto padre Giulio Brogi (capelli lunghi e codino, così si capisce che è architetto).

  

Dopo un incidente, viene accudito dalla figlia Emmanuelle Devos che arriva da Parigi, molto ben maritata (a giudicare dal cappotto, dalle borse, dalla casa, dal regista che la fa entrare in scena con la didascalia: “moglie borghese frustrata”). Papà la voleva architetto, come ultima speranza le chiede di controllare se davvero l’acetato ha legato bene con la montagna, o bisogna rifar tutto.

  

Fabrizio Gifuni la prende male (egli si è fatto da sé, lei è nata con il cucchiaio d’argento in bocca, e altri luoghi comuni da canzonetta). Abbiamo dimenticato qualcosa? Sì, il cliente – a occhio uno che i libri li ha buttati via dopo la maturità – vorrebbe una sala di lettura. Emmanuelle Devos con accento francesissimo si oppone a open space Gifuni e annuncia: “la disegnerò come la lanterna di un faro”.

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