STONEWALL

Mariarosa Mancuso

Barack Obama ha intenzione di dichiarare lo Stonewall Inn – il locale gay che nel 1969, dopo una retata, scatenò sei giorni di proteste e barricate dando il via al movimento dei diritti civili per gli omosessuali – monumento nazionale. Ha intenzione, non è cosa fatta, e se sarà al monumento verrà annesso il giardinetto noto come Christopher Park. Roland Emmerich anticipa la decisione girando il film commemorativo, criticatissimo dalle associazioni gay per aver “sbiancato” la rivolta. Mette al centro della storia un giovanotto cacciato dalla famiglia, laggiù nell’Indiana, per un po’ di sesso con un compagno di squadra (non gay, viene precisato senza che lo spettatore abbia chiesto dettagli, ma fidanzato con una ragazza che se la tiene cara in vista del matrimonio). Il regista si è difeso dicendo che serviva un bravo ragazzo per conquistare lo spettatore etero, beccandosi per risposta: “Giusto: in un film pacifista scegli un guerrafondaio come eroe, per non turbare gli spettatori che hanno armi in salotto”. Cronistoria: per esperienza diffidiamo delle proteste di categoria, quindi abbiamo pensato “esagerati”. Poi abbiamo visto il film, più brutto di come veniva raccontato anche nelle recensioni più feroci. A protestare, dovrebbero essere tutti gli spettatori che amano il cinema. Per riferirne una sola, sul Guardian, certo non contrario alla causa: “C’era più intelligenza e sottigliezza in ‘Independence Day’, quando l’astronave aliena distrugge la Casa Bianca”. Arrivato a New York, Danny il provinciale va dritto allo Stonewall Inn, dove fa amicizia con l’intero assortimento. Abbastanza variopinto per la verità, non solo nel guardaroba. Un gigantesco transessuale nero, un efebo latinoamericano che si innamora del nuovo arrivato e sogna di cucinargli i pranzetti, il sinistro proprietario del locale che arrotonda facendo il pappone, l’attivista che distribuisce volantini. Tutti berciano e strillano, mentre la polizia organizza retate. Per colonna sonora, gli obbligatori “Venus” e “A Whiter Shade of Pale”, più Gioacchino Rossini e Giuseppe Verdi (era l’epoca giusta per evitare l’acoppiata gay-opera lirica, abbiamo sempre in palio una medaglia per chi riuscirà nell’impresa). Flash back tra i campi di granoturco, pianti per la morte di Judy Garland, litigi con i gay in giacca e cravatta che odiano i lustrini.

 

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