LA FORESTA DEI SOGNI

Mariarosa Mancuso

Il film più spernacchiato l’anno scorso a Cannes, meritava tutti gli sberleffi e anche di più. In sala con molto ritardo, ci domandiamo cosa sia successo nel frattempo a Matthew McConaughey, fino all’anno scorso onnipresente sugli schermi e in “True Detective” (la prima e unica stagione, per quanto riguarda noi, la seconda con Colin Firth era faticosissima da vedere). Un controllo su Imdb mostra che il nostro ha passato il tempo girando set molto poco attraenti: in “Sing” presterà la voce a un koala cantante di nome Buster (solo pensarlo mette i brividi), in “Kubo e la spada magica” darà la voce a un ragazzino, in “Free State of Jones” sarà un contadino ribelle durante la guerra civile americana, in “The Dark Tower” siamo nel fantasy, e la frequentazione del genere non la perdoniamo neppure a Stephen King. Visto a suo tempo, “La foresta dei sogni” si faceva notare per l’insistenza dell’attore in parti da moribondo (tutta colpa dell’Oscar acchiappato con il cowboy malato in “Dallas Buyers Club”). E per i segnali, grandi come lampioni, che fin dalla prima scena indirizzano lo spettatore verso l’irreparabile. Partenza dal Massachusetts verso il Giappone. Il passeggero McConaughey ha un biglietto di sola andata, non porta bagaglio con sé, rifiuta il vassoio del pranzo. Digiuno e con una macchina noleggiata punta verso la foresta di Aokigahara, pendici del Monte Fuji, nota come “foresta dei sogni”. Incubi, piuttosto, a giudicare dal cartello che accoglie i visitatori: “Ripensateci, siete ancora in tempo”. E’ infatti un bosco magico, dove qualcuno smarrisce la strada per via di certi spiriti e qualcun altro si reca suicidarsi (i poliziotti in servizio non amano né gli uni né gli altri, tanto lavoro in più). Matthew McConaughey si è portato le pillole da casa, mentre sta per ingoiarle arriva un giapponese dall’aria confusa (Ken Watanabe, as usual). Parrebbe un suicida che ci ha ripensato. Chiacchierano smarriti (nel senso della via d’uscita e dei pensieri new age). “Vuoi vedere che Gus Van Sant ha fatto un film di zombie?”, è il pensiero malandrino che attraversa la mente. Ha fatto molto peggio. Ha mischiato lutti, fantasmi, incidenti stradali, cattiva filosofia, esotismo giapponese, matrimoni che si sfasciano, malattie gravi, caricando il fardello sulle spalle di due attori in stato confusionale.

 

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