THE BURNING PLAIN – IL CONFINE DELLA SOLITUDINE

Mariarosa Mancuso

    Grande era la curiosità dopo la separazione della coppia Iñarritu-Arriaga, il burrito pack del nuovo cinema hollywoodiano: così li ha chiamati un giornalista evocando il rat pack di Frank Sinatra e Dean Martin. Entrambi messicani – 45 anni il regista, 50 lo sceneggiatore-romanziere, pubblicato da Fazi – sono saliti alla ribalta con “Amores Perros”, hanno fatto versare fiumi di lacrime con “21 grammi” (il peso dell'anima che lascia il corpo in un film che vanta ben due trapianti cardiaci), con “Babel” hanno avuto accesso alle grandi star Brad Pitt e Cate Blanchett. Abbastanza per continuare a vivere felici fino al prossimo Oscar. Invece hanno litigato come solo uno sceneggiatore e un regista possono litigare (finiti i tempi in cui Billy Wilder scriveva un film dopo l'altro assieme a I.A.L. Diamond, nato in Romania come Itek Domenici, che mai cedette alla tentazione della macchina da presa). Non abbiamo i dettagli, li immaginiamo benissimo. Lo sceneggiatore accusa il regista di manomettere il magnifico copione, levando le scene più intense (non c'eravamo, ma siamo sicuri che Arriaga ha detto “intense”). Il regista, pur apprezzando le magnificenze della sceneggiatura, ricorda che trattasi appunto di sceneggiatura: qualcosa che serve a cavarci un film, più o meno bello a seconda di chi sceglie e dirige gli attori; qualcosa che può avere lentezze o tempi morti, e che in ogni caso non è sacra. Dopo il bisticcio (anticipato da un piccolo tradimento, quando Arriaga diede a Tommy Lee Jones il copione di “Le tre sepolture”), ha girato “The Burning Plain” da solo. Fin da quando inquadra Charlize Theron, malinconica proprietaria di un ristorante a Portland, si capisce che non ha l'occhio del regista talentoso. Tutto corretto, ma tutto già visto, compresa la fotografia livida per l'Oregon e la fotografia assolata per il New Mexico, dove brucia una roulotte con due amanti clandestini dentro (lei voleva la doccia dopo, lui le procura uno scaldabagno a gas, esplosione). Tutto corretto, molto sentimentale, e ricco di intensi primi piani (non eravamo sul set, ma siamo sicuri che Arriaga ha detto “intensi”). Le quattro storie intrecciate evocano gli elementi primordiali, dettaglio bastante per metterci in fuga. Le ambizioni restano nella struttura non lineare, tanto sfruttata che ormai la usa anche Maria Sole Tognazzi in “L'uomo che ama”.