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L'enigma della musica

Un quid misterioso lega i suoni all'ascolto. Spunti da un libro di Filippo Facci

Roberto Raja

Marisilio ripropone “Misteri per orchestra”, un’indagine che parte dalle biografie dei grandi compositori arrivando fino all’esperienza intima della musica. Un viaggio che sconfina nella psicanalisi, attraversando le sfere dell’inconscio

Alcuni sono misteri intorno alla morte, come quelli che aleggiano sugli ultimi giorni di Mozart e Ciajkovskij. Quale fu il morbo che diede il colpo di grazia al corpo già provato dell’autore del Don Giovanni, mentre era impegnato nella febbrile stesura del Requiem? (nei primi anni Duemila un chirurgo americano in pensione, per far tacere questo tarlo, s’è messo a censire le teorie mediche sulla morte di Mozart: è arrivato a contarne centodiciotto). E Ciajkovskij, come andò veramente? Finì i suoi giorni vittima del colera o suicida per coprire uno scandalo sessuale? Per altri grandi compositori il mistero si è allungato sulla vita stessa – e sulla loro immagine. E ci si interroga ancora sul ritiro dalle scene di Rossini, a soli trentasette anni e all’apice della fama; sulle ombre demoniache che accompagnarono la straordinaria carriera di Paganini; sull’insano legame postumo della musica di Wagner con il nazismo (condensato nel celebre Witz alleniano in Misterioso omicidio a Manhattan: “Non posso ascoltare troppo Wagner, lo sai. Già sento l’impulso a occupare la Polonia).

 

Con la passione del melomane sostenuta dall’indagine sul campo (anche da Bayreuth fino all’hinterland milanese, sulle tracce della damnatio wagneriana), Filippo Facci ha scritto qualche anno fa questo Misteri per orchestra, ora proposto da Marsilio in edizione economica e arricchito di una nuova prefazione che in poche pagine sposta l’asse del discorso: dai misteri dei musicisti al mistero della musica (in questa forma assoluta assai più ostico non solo da spiegare ma anche da definire). Dalle biografie ormai consegnate alla storia o, appunto, alla leggenda, all’esperienza intima e alla fascinazione dell’ascolto, passando per un’altra biografia, interiore questa volta: la propria. Facci, che vede la musica intesa come mistero nascere “in paraggi adolescenziali”, ricorda di aver ascoltato moltissima musica da ragazzo nella sua cameretta, dopo aver perso a meno di dieci anni la madre. “Con tutt’altra testa, oggi”, scrive, “penso che la musica fosse per me la più prossima riformulazione dell’esperienza percettiva arcaica del corpo materno, un bagno di suoni primordiali della vita endouterina, la realizzazione allucinatoria del desiderio di un Eden in cui non vi fosse distanza tra le parole e le cose”.

 

A prenderlo in parola, a vederlo affondare il piede in questo terreno, viene spontaneo tornare su un altro libro, uscito un paio d’anni fa, che pure esordisce proprio evocando l’essenza “misteriosa” della musica. In Musica e psiche (Raffaello Cortina Editore), Augusto Romano, psicoanalista junghiano di lungo corso che confessa la sua frequentazione quotidiana con le note, descrive a grandi linee i tentativi della psicologia e dell’antropologia di interpretare quell’essenza. Dalle variazioni sulla constatazione di Lévi-Strauss, per cui fra tutti i linguaggi solo la musica ha in sé i caratteri contraddittori di essere nello stesso tempo intelligibile e intraducibile, alla lettura più enfaticamente psicoanalitica di Franco Fornari, che vedeva nel fondo della musica il recupero e il riconoscimento di quell’esperienza originaria che è la vita intrauterina, ovvero il rispecchiamento del suono prenatale rappresentato dal battito cardiaco della madre. Una tesi, questa di Fornari, consonante con le suggestioni di Facci, ma che Romano prende con le pinze, reputandola troppo deterministica e riduttiva e preferendo pensare alla musica come a un’esperienza di tensioni e conflitti più che di fusione primordiale.

 

E in questo senso, anziché cercare nella psicoanalisi gli strumenti per interpretare l’essenza della musica, ritorna al suo quid enigmatico accostando le due sfere, quella dei suoni e quella dell’inconscio, accomunate dal loro “regime notturno”, per il quale risultano inadeguate le lenti del “regime diurno della coscienza”. La conclusione aperta, sulla quale crediamo che anche Facci sia d’accordo, è che “dopo il lungo periplo cui ci aveva invitati, la musica si ripiega su se stessa e si presenta al nostro ascolto perfettamente evidente come oggetto sonoro e, al tempo stesso, enigmatica a motivo della sua pregnanza. Invitandoci a far parte del suo mistero, continuamente alimenta affetti e immaginazione senza mai esaurirsi in quelli”.

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