Foto LaPresse

Sanremo 2023

Colapesce e Dimartino al Festival e lo sdoganamento dell'indie all'italiana

Enrico Veronese

Il duo della "Musica leggerissima" ritornano a Sanremo. E con loro c'è una piccola parte di quella generazione un tempo invitata all'Ariston per rappresentare la quota di quelli strani, da riserva indiana. Parla Nico LaOnda

Una regola non scritta del Festival di Sanremo è che difficilmente il brano vincitore sarà quello che caratterizza la memoria di una data edizione. Certo, “Zitti e buoni” non avrebbe scalato l’Eurovision Song Contest senza la palma della Riviera: ma “Ciao ciao” e “Sesso occasionale” nell’immediata considerazione popolare hanno tenuto testa al premiato Blanco, i Pinguini Tattici Nucleari hanno iniziato la loro scalata ai grandi numeri nonostante l’albo d’oro indichi Diodato, “Rolls Royce” è stata gettonata in misura almeno pari a “Soldi”.

 

Proprio l’anno di grazia dei Måneskin, 2021, “Musica leggerissima” la cantavano sovrappensiero tutte e tutti, almeno fino all’estate: anche se il battage promozionale di Chiara Ferragni le ha sottratto il podio, i meme - tra cui quello, splendido, ambientato nel ballo al Tempo delle Mele - certificavano che la canzone sanremese di Colapesce e Dimartino era lì per restare.

 

E dire che i due marinaretti siciliani, prima dell’edizione numero 71, erano noti soprattutto nell’ambiente (peraltro sempre più esiguo) che ha dato loro culla, ovvero ciò che per lungo tempo è stato convenzionalmente definito come indie italiano. Lo stesso Festival, nei progressivi sforzi di rinnovamento-in-continuità, aveva cercato di assorbire il meglio da un contesto che, per numeri effettivi, già aveva provveduto a sdoganarsi da sé: ma a Sanremo gli artisti indie venivano invitati a rappresentare la quota di quelli strani, da riserva indiana. Perciò generazione sfidante, deputata a fallire i primi assalti al cielo: Subsonica, Bluvertigo, Afterhours che ribaltarono l’esito in chiave politica (“Il Paese è reale”).

 

Se un po’ è vero che il “vecchio” indie cantato in italiano ha dovuto virare itpop per acquisire fiches (e non baudi) da spendere nei tavoli da gioco vicini al Casinò, è assodato che Colapesce e Dimartino non sono nati dal niente: le loro etichette discografiche, 42 Records e Picicca, hanno nomi tuttora non di dominio pubblico, ma da circa quindici anni scandagliano il sottosuolo per portare alla ribalta i talenti più capaci nel parlare alla platea dei grandi numeri, in chiave moderna eppure classicamente riconoscibile, indie solo per caso. A volte, per sempre.

 

"La musica underground spesso viene confusa con l’insuccesso su palcoscenici grossi", dice Nico LaOnda, che ha seguito il loro stesso percorso per ritrovarsi a suonare da italiano a New York: "Senza la musica sotterranea (e sotterrata) non esisterebbe la musica pop. Non solo, non si evolverebbe". Per comprendere il boom di “Musica leggerissima”, il riconoscimento qualitativo dei suoi poliedrici autori, occorre infatti affondare con le mani, con la testa, con il cuore negli anni d’oro della musica indipendente realizzata in Italia, agli esordi di Lorenzo Urciullo in arte Colapesce: la cover cisposa di “Jingle bells” che fu la prima avvisaglia dei suoi Albanopower si rintraccia ancora facilmente in Youtube, dallo studio tra i limoneti nell’entroterra siracusano sono passati in tanti, prima di spalleggiare Marco Giusti a “Stracult” e affrontare un tour appagante disegnato da Alessandro Baronciani, trovando infine la propria strada entro racconti intimi e universali.

 

   

"Erano gli anni dei demo cd, dei centri sociali e dei concorsi musicali", prosegue Nico. "Si organizzavano i tour con il passaparola, il palco lo dovevi mangiare per costruirti una fanbase dedicata". È la differenza di background tra chi la propria gavetta l’ha consumata calcando i palchi, e chi truccato in un talent show televisivo quale prima esperienza. Il possibile trionfo del duo - esordio stagionale mercoledì sera con la leggerissima “Splash” - farebbe ragione, uno per tutti, di un’intera storia musicale e riscatterebbe in un sol colpo chi ci ha provato (Perturbazione, per esempio) e chi allora poteva ambire al miglior orario di esibizione al Mi Ami festival milanese. Non Voglio che Clara, Amor Fou, Carpacho, Numero 6, Dilaila, Valentina Dorme, Diva, Wow: nome di band, e interiezione.

  

Un esito lunare solo qualche anno fa: ma dopo che il Festival ha prosciugato diverse galline dalle uova d’oro - di itpop si parla meno, anche la trap sta per diventare un ricordo - ora il successo di lontana matrice indie apparirebbe normalizzato, quasi vintage. Nel mentre, le musiche indipendenti vanno avanti a lanciare speranze, senza l’obiettivo del riscontro immediato ma con la possibilità di lavorare alla lunga durata: la stessa 42 ha in rampa il sognante, retrò Andrea Laszlo de Simone e quel genio egotista di Tutti Fenomeni, tra le label più in vista c’è la veneta Dischi Sotterranei (Vinnie Marakas, Baobab, Laguna Bollente, Roncea i prossimi exploit?), e Rockit ha piazzato al top del 2022 l’album “Entropia PadrePio” dei padovani Post Nebbia. Il cui leader e compositore Carlo Corbellini figura tra i crediti dell’eccellente ritorno di Dente (“La vita fino a qui”), regalandogli archi classici e l’inciso "o esco di casa / o esco di scena". Già verso altre sfere viaggiano i ricordi 90s di Vasco Brondi in “Va’ dove ti esplode il cuore” e “Chitarra nera”, là dove i Baustelle - sotto major da quasi vent’anni - interpretano per l’ennesima volta se stessi cantando “Contro il mondo” ai vertici dell’orecchiabilità, e i Cani rimangono il best secret che dagli hard disc pubblica un estratto l’anno, ad andar bene.

    

Indie a Sanremo 2023, quindi. Cos’è Ariete col brano scritto assieme a (Edoardo) Calcutta, se non la ragazzina del singolone “Diciott’anni” che aveva tutto per diventare inno generazionale? E i Coma_Cose non sono per metà quell’Edipo che si sbracciava per respirare aria internazionale dal suo lago di Garda, curando la programmazione del club 24, all’epoca in cui Giorgio Poi si metteva in proprio dai Vadoinmessico? "Ci sentivamo parte di una scena - conferma LaOnda - per noi era tutto. Stavamo crescendo. Ridevamo sempre. Ci prendevamo mai troppo sul serio. Ecco, la musica sotterranea forse ti permette di prendere tutto a cuor leggero. E la musica migliore esce sempre in questo habitat, credo".

 

L’indie del passato, del presente, del futuro tenuto assieme da un filo: fino alla prossima rivoluzione, mai carbonara o per pochi, dal palco del teatro Ariston.

Di più su questi argomenti: