(foto Ap)

Il ritorno di Avril Lavigne vent'anni dopo “Let go”, monumento pop-punk di una generazione

Stefano Pistolini

Cuori spezzati e residui della vecchia angoscia nel nuovo disco dell'artista canadese, che come pochi è riuscita a rappresentare il senso di frustrazione e di incomprensione adolescenziale

In anni americani diversi da questi – con meno massacri seriali, ma ritmici, laconici, all’indomani del grande unico massacro collettivo imposto sulle Torri e nel deflagrare di quello choc generalizzato – in quel “dopo” prese quota tra i ragazzi d’oltreoceano un atteggiamento psicosociale definito sintomatico, presto battezzato come teen angst, “rabbia giovanissima” (e come tale subito trasformato in “fenomeno” buono per vari livelli del mercato culturale e dello show business). Era il momento in cui andava ancora di moda etichettare i gruppi anagrafici con una lettera – X, Y, Z – con quelle stucchevoli generalizzazioni che servivano più che altro a tenere alto il morale dei boomers. Di fatto però, in una nazione dove questi fenomeni acquisiscono un potere di omologazione più forte che altrove, lo stereotipo dell’adolescente sprofondato nella felpa col cappuccio, che parlava a monosillabi con gli adulti, ascoltava musica a volumi stratosferici e si sentiva insicuro e ribelle, divenne una definizione stilistica ed estetica stabilita: l’angoscia come concetto reificato, derivato dall’ansia riguardo al disegno della propria esistenza., capace di produrre sentimenti intensi, forte creatività e una montagna di frustrazione

 

In quel momento, esattamente 20 anni fa, usciva l’album-manifesto di questa condizione: si chiamava “Let go”, lascia andare, della diciassettenne canadese Avril Lavigne, un monumento pop-punk all’angoscia adolescenziale, trainato da un singolo, “Complicated” che convinse – strumentalmente, ovvio – i media Usa d’essere al cospetto di una “adolescente Bob Dylan” e soprattutto dell’“anti-Britney” (cantonata memorabile: Britney si sarebbe dimostrata ben più estrema di Avril nel suo rifiuto delle convenzioni) e dunque la ragazzina in procinto di far esplodere l’intero artificio del pop. 

 

Dal vivo Avril era una bomba, mentre intonava la scaletta di  “Let Go” con le mani in tasca e il viso nascosto dai capelli lisci, con indosso pantaloni larghi e braccialetti di plastica e una perenne grinta che ridicolizzava i sorrisi ultra brite di Britney e Mandy e Christina. La parabola di questa cometa allestita dal mega-produttore L.A. Reid, che nei video musicali seminava il caos nei centri commerciali, sarebbe coincisa con la scomparsa della sua vulnerabilità adolescenziale e del relativo fascino dei suoi testi irriverenti, quando semi-rappava “Potrei essermi innamorata di quel tipo quando avevo 14 anni ed ero ingenua / ma è incredibile cosa possono significare un paio d’anni”, concludendo esitante, “Non so cosa dire / Domani è un altro giorno”: petulanza e accettazione nel viaggio adolescenziale verso la conoscenza di sé. 

Strano, adesso, osservare le dinamiche attraverso le quali quella fase della psicologia collettiva dei ragazzi americani si sia cristallizzata in una condizione di difficoltà venata d’indolenza che poi però si sarebbe disciolta in nuovi stadi evolutivi condivisi, a cominciare dalla civiltà dei social con le sue nuove regole di comportamento. Eppure nel 2022 “Let Go” permane ancora nell’immaginario in circolo e star del presente come Olivia Rodrigo, Billie Eilish e Willow Smith citano Lavigne come influenza decisiva sulla loro formazione.

Quanto ad Avril, oggi ha 37 anni, si divide tra musica e cinema, ma è appena tornata a farsi sentire con un album accolto con affetto dal suo pubblico: “Love Sux”, l’amore fa schifo, dove cuori spezzati e residui della vecchia angoscia si mescolano in un suono banale ma potente, ascoltando il quale è quasi impossibile non fare headbanging. E’ la sindrome “Stranger Things”: ammettere quanto siamo cambiati, sorridere di quella semplicità, scuotere la testa per i vecchi errori. Consapevoli che l’ingenuità non può mai essere una merce di ritorno.

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