Foto dal profilo Instagram di Maria Chiara Argirò

musica

Non ci resta che l'algoritmo per conoscere Maria Chiara Argirò e Linda Feki

Stefano Pistolini

Polistrumentiste di valore nel territorio di frontiera tra elettronica e jazz, entrambe italiane ed entrambe giramondo. Due perle rare da scoprire 

Nel ping pong vagabondo della globalizzazione capita che due notevoli musiciste, ancora tutte da scoprire, approfittino dell’emigrazione o della delocalizzazione per individuare il terreno giusto dove sviluppare il proprio talento. Con un altro dato ad accomunarle: l’essere due valenti polistrumentiste al femminile e soltanto dopo anche delle vocalist, smentendo il predominio maschile nel territorio artistico in cui agiscono – quel soffuso territorio di frontiera tra elettronica, jazz e sperimentazioni ritmiche. Maria Chiara Argirò ha appena pubblicato “Forest City” per la stimabile label britannica Innovative Leisure e questo lavoro è il coronamento di un lungo percorso che parte da Roma, dov’è nata e ha scoperto l’amore per il pianoforte, prima classico e poi jazz. Presto, ma ormai undici anni fa, per lei è arrivata la decisione di cambiare radicalmente aria, trasferirsi a Londra, continuando a inseguire il suo sogno espressivo e costruendosi progressivamente una credibilità e una reputazione in un ambiente selettivo e difficile da penetrare come la scena del contemporary jazz d’oltremanica, intriso d’implicazioni intellettuali, venature politiche, ossessioni di coolness.

 

L’album “Flow” (2020), in collaborazione con Jamie Leeming, rappresenta l’acme dell’esperienza jazzistica della Argirò, uscito proprio mentre la pandemia provvedeva a modificare le regole del gioco per chi ha in testa di vivere di musica suonata. Il lungo iato trascorso ci restituisce ora una musicista rinnovata per interessi, oltre che per profondità dello sguardo e direzione espressiva. “Forest City” è un lavoro di elettronica concettuale e soffusa, edificato amministrando strati e tessiture sonore delicatamente connesse, riecheggiando cose di Fka Twigs e Radiohead, nel quale Maria Chiara aggiunge alla sua abilità strumentale un’inedita vocalità lieve e frammentata, che in certi momenti richiama quella di Emiliana Torrini. L’architettura del disco si rivela ricca di sbocchi, detour e soluzioni, spaziando tra trip-hop, drum’n’bass, jazztronica, tentazioni pop, e ovunque il lavoro ai sintetizzatori di Maria Chiara (in particolare manipolando quello strumento segretamente magico chiamato Organelle) è prodigioso e originale, confortando la sensazione che Argirò abbia solo bisogno di una degna circolazione del suo suono, per raccogliere tutta l’attenzione che merita.

 

Un viaggio al contrario è quello che ha condotto a Napoli Linda Feki, origini italo-tunisine, titolare di un gusto della contaminazione che l’avvicina a Maria Chiara Argirò, abbinando l’improvvisazione jazz del presente alla ricerca elettronica e a sperimentazioni ritmiche in cerca di espressioni nuove, anziché di ossessioni ripetitive. Linda ha assunto il nome d’arte di LNDFK con cui firma “Kuni” (etichetta La Tempesta), album elegante e ambizioso realizzato in stretta collaborazione con Dario Bass, il suo produttore e alter ego musicale. La cifra del lavoro è un ibrido mutante, inafferrabile nel suo migrare da sonorità cinematiche a dance patterns, da divagazioni zappiane a frammenti rap, a libertà strumentali e improvvisative vicine a certe ricorrenze nell’ultimo jazz. Se un paragone può essere utile, il primo nome che viene in mente è Flying Lotus.

 

Linda però riassume il percorso che l’ha condotta qui raccontando una storia diversa, il cui protagonista è niente meno che un regista cinematografico di culto come il giapponese Takeshi Kitano e in particolare l’ispirazione che le è venuta vedendo una delle sue pellicole più popolari, “Hana-bi”. Proprio il gioco delle apparenze, di cui Takeshi Kitano è maestro, la sua abilità nello smarcarsi dai generi varcandone instancabilmente i confini, il suo gusto per l’alternanza tra azione e contemplazione, avrebbero indicato a LNDFK (che in “Kuni” gli dedica due pezzi) la strada da seguire nell’allestimento dell’album, approdando a risultati francamente sbalorditivi, proprio grazie al suo essere inafferrabile, in continua mutazione, pilotato dalla liquida vocalità di Linda. In sostanza Argirò e Keti sono due eccellenti artiste, dotate di un tasso di contemporaneità raro per la nostra scena. A questo punto bisogna soprattutto confidare nella potenza dell’algoritmo come principale veicolo di diffusione dei loro prodotti. Il resto lo farà il fascino del loro suono, la particolarità del loro approccio femminile, il tangibile design planetario che le anima, scevro dai ricorrenti provincialismi in cui sovente ci imbattiamo.