Estate leggerissima. La musica italiana scala le hit e fa inceppare i ritmi latini

Enrico Veronese

Il gioco delle coppie (da Fedez a Orietta Berti) batte l'effetto fotocopia tutto mojito e balli pseudo-latini: così i potenziali killer di ascolti si rivelano pistoleri dalla mira storta. Grazie spensieratezza forzata

Basta con l’amore-capoeira, stop ai calchi di “Despacito”, adiòs noche caliente a la playa. È l’estate adespota del tormentone diffuso, non egemonico, tanto meno latino o presunto tale: in pendant con le vacanze autarchiche, il timore di restare intrappolati in qualche aeroporto greco o maltese per subitanee restrizioni, anche le hit dell’estate si adeguano al mood. E la spensieratezza forzata, le noci di cocco e le palme a simulare gli standard caraibici (di plastica) lasciano il posto alla canzone italiana, all’eterno pop radiofonico, alla musica leggera. Anzi, leggerissima: Colapesce e Dimartino, già scudieri del cantautorato indie, veleggiano sopra l’onda lunga del brano di Sanremo per fare i “Toy boy” della quasi nonagenaria Ornella Vanoni, nel cliché stagionale che vede mature signore -Orietta Berti, sempre rassicurante- spopolare in groppa ai comprimari Fedez e Achille Lauro. Delle due strofe rap, pochi ricordi nelle stories via Instagram: ci si butta a pesce nel ritornello della rezdora emiliana, quelle “labbra rosso Coca Cola” regalate al brand quale firma digitale dell’estate.

 

È il gioco delle coppie, tutto un duetto Spider intergenerazionale come Gassman e Trintignant: l’Allegria di Morandi e Jovanotti, la Makumba di Noemi e Carl Brave, il Cinema del subsonico Samuel e di Francesca Michielin. Se nelle chiacchiere -più che nelle playlist- dominano i Måneskin, freschi di collaborazione con Iggy Pop (i suoni più lontani dal comune concetto di musica estiva), e mentre l’adolescenza urban, anche nella stagnazione della trap, non fa distinzione tra estate e inverno per parlare nel proprio codice che esclude gli over 18, le visualizzazioni di Youtube e l’hype di Spotify certificano che il modello principe delle ultime stagioni sta mostrando una tela consunta e lisa, senza nemmeno gli occhi blu.

Nel 2021 non c’è pietà per Baby K, resta al palo Giusy Ferreri, s’inceppano i Boomdabash, nessuna replica dorata per i produttori Takagi & Ketra, le caraffe di mojito Shade se le deve conquistare, Il Pagante ha pagato un Malibu a Sangiovanni, i product placement ruffiani non sono più una garanzia. Perfino i video di Mahmood e Madame, sofisticati il giusto e medagliati (lei) dalla Targa Tenco, stentano a racimolare le solite cifre di massa: floppano le forme di Elettra Lamborghini col suo “Pistolero” più farlocco e pretestuoso che mai, come un fuscello al vento provano a resistere Rocco Hunt e la sensuale Ana Mena, fidanzata del trequartista del Milan Brahim Diaz. Tutti singoli potenzialmente killer, costruiti dagli algoritmi, studiati a tavolino negli uffici milanesi apposta per riuscire, pubblicati forse troppo tardi rispetto a chi era già in campo: ma senza tenere in conto l’esaurimento del pubblico, sfibrato da anni di percussioni all’udito e alle parti basse, nonché l’effetto fotocopia che rende difficile riconoscere, affezionarsi, voler riascoltare proprio quel brano e non uno troppo simile.

 

Il successo segue le strade casuali e non preventivate del passaparola: l’unica traccia di latinidad che si afferma, infatti, è “Bongo cha cha cha” di Caterina Valente, anno 1959, rivista nella versione history repeating pompata dai bassi dei Goodboys, che ringraziano i tag di Federica Pellegrini dalle piscine di Tokyo. «Potrebbe essere l'inizio di una nuova stagione per la canzone estiva», dicono dalle parti di Rockit, autorevole organo della nuova musica italiana e termometro del gradimento del pubblico: «Gli altoparlanti degli stabilimenti balneari e la classifica FIMI Nielsen dicono che il reggaeton non funziona più, e già tirava aria di disfatta per il ritmo latino posticcio, il ritornello con le parole tattiche (nucleari? ndr) in spagnolo». Colapesce e Dimartino – sostiene la webzine diretta da Dario Falcini – sembrano «raccogliere l'eredità delle canzoni per l'estate di Franco Battiato, nella prima estate in cui il Maestro ha lasciato la forma terrestre per unirsi al cielo».

Erano i tempi di Gianni Togni e del jukebox, del Cornetto e del Festivalbar, maglie bianche Fruit of the Loom e jeans sbiaditi, sognando un giorno di vincere i Mondiali con Bennato e Nannini: chi scriverà allora la prima canzone olimpica per l’autunno, veloce come Jacobs e vincente come la Nazionale di calcio?

Di più su questi argomenti: