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Il flusso d'incoscienza di Rino Gaetano, 40 anni dopo

Enrico Veronese

Nella notte del 2 giugno 1981, l’Italia che stava cambiando perdeva il suo cantautore più atipico, lontano dallo stereotipo barbuto e amusicale imposto dal “tutto è politico”, contestato e declinante

“Rossi e neri sono tutti uguali. Ma dove siamo, in un film di Alberto Sordi” o in una canzone di Rino Gaetano? Nel marzo 1978, giusto una settimana prima del rapimento di Aldo Moro, “Ecce bombo” di Nanni Moretti usciva in un paese "diviso, più nero nel viso, più rosso d’amore". Proprio in quei terribili mesi, l’Italia del disimpegno usciva dal guscio cantando "evviva la vita" nel ritornello di “Gianna”, longseller arrivata ai deejay di provincia, che alla festa finita abbassano il volume per far sfogare la platea pecoreccia.

All’alba della Repubblica, la notte del 2 giugno 1981, l’Italia che stava cambiando perdeva il suo cantautore più atipico, lontano dallo stereotipo barbuto e amusicale imposto dal “tutto è politico”, contestato e declinante. Crotonese, uomo libero, dal taglio casuale sotto il cappello, Gaetano si era schiantato contro un albero lungo la Nomentana: a due chilometri dal luogo dove, sempre in auto e di notte, vent’anni prima aveva trovato la morte l’irregolare del boom, Fred Buscaglione.

E non v’è dubbio che, come per lo ieratico Francesco Bianconi, anche secondo lo scanzonato Rino Gaetano la fica sia vita, fungibile non solo per metrica. Forse il primo di una serie di lucidi scaleni a Sanremo: l’anno dopo a vivere alla grande fu Fanigliulo altrettanto sfortunato, padri di Tricarico che ora scrive per lo Zecchino d’Oro, ad Antonio Maggio già dimenticato, Gazzè in trasformazione, Gabbani che vince fino al confine. “Gianna” arriva terza nel Festival del riflusso, in tv solo la finale: la precedono un pezzo minore dei Matia Bazar e l’epocale diciassettenne Anna Oxa (“Un’emozione da poco”, altro che Maneskin), ma spalanca le sue braccia all’eternità della cultura pop.

L’Italia che imputava a democristiani e comunisti la fine di un uomo per bene, nell’annus horribilis della Repubblica nata il 2 giugno, aveva trovato la voce a cui votarsi: “Nuntereggae più” frullava i palinsesti televisivi dell’accesso, le prove tecniche di trasmissione, soubrette sempre più scosciate e l’album delle figurine Panini, in un vorticoso flusso d’incoscienza saltereccio e proto-vaffagrillino (ma senza la bava alla bocca). Allora Raspadori si chiamava Musiello, il capitale era in mano alle storiche famiglie italiane e "mi sia honsentito dire" stava in bocca a Fanfani e non al fanfaniano Renzi: mica fu un successo da subito, quanto invece postumo.

Rossi e neri? Tutti uguali ai bianchi e agli industriali, ai laici stinti, ai socialisti del Midas e ai radicali: il ‘77 freak non era il Sessantotto, gli Skiantos erano il punk che ci meritavamo, le classifiche musicali della disco music erano contaminate dai ritmi caraibici in levare che da Bob Marley arrivano in Europa, virati pop dai Police. La sfida italiana non poteva che essere raccolta da un uomo del sud e delle migrazioni, nostalgico del mare e del sale, spaesato e per questo universale. 

“Nuntereggae più” faceva paio e rima con “Ma il cielo è sempre più blu” - oggi sigla di coda in un paio di stadi - perché andavano di moda gli elenchi, poi diventati faziosi (“Quelli che” di Jannacci e Beppe Viola, “Quello che non ho” per i reduci seriosi dell’Anima mia, puro spleen RaiDue ‘97): Gaetano macinava canzoni che diventavano subito hit o, senza mezze misure, rimanevano sospese nel tempo. Ed erano, queste, le più belle e ancora arcane, riascoltate lustri dopo, svelate a strati come recuperi di Pompei: le colonne sonore del cinema neo-pariolino affondano a piene mani dentro il sacco di “A mano a mano”, “Berta filava”, “E io ci sto”, significanti più di ieri.

Cosa avrebbe potuto scrivere ancora, lo induce probabilmente “Sfiorivano le viole”, il suo capolavoro: canzoni d’amore intelligenti, impastate di storia e di terra, cortometraggi sonori in chiave lounge dove la sfera privata e quella sociale, la notte canicolare, la cronaca e la storia si confondono fino a non distinguersi. Qualche concerto da venerato maestro, in fuga dalle firme di appelli pre-elettorali; studiate apparizioni una tantum, pompiere dopo avere incendiato. Avrebbe paesaggito con Arminio e forse composto il seguito di “Aida”, che ha votato per la prima volta il giorno della Costituente e del referendum, dopo una vita di gramaglie, patriarcato e rosari. Un mese dopo il 2 giugno, nel 1981, l’uomo libero Rino Gaetano avrebbe sposato Amelia, le sue istantanee, i suoi tabù.

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