Espandere l'universo narrativo delle canzoni

“Cinque”, il nuovo album non-album di Giovanni Truppi, unisce musica e illustrazioni: sei artisti hanno scritto, disegnato e raccontato la loro personalissima storia, partendo dai testi dei brani. Parla il cantante

Gianmaria Tammaro

“Le canzoni”, dice Giovanni Truppi, “nascono con il tempo. Prima sono qualcosa, poi qualcos’altro; sono l’insieme dell’esperienze di chi conosciamo, di quello che abbiamo vissuto noi; ricordare dopo anni perché siano state scritte è complicato, se non addirittura impossibile”. In “Cinque”, il suo nuovo album non-album, ci sono tre editi e due inediti; c’è la collaborazione con musicisti di primissimo livello (Calcutta, Brunori Sas, Niccolò Fabi e La rappresentante di lista) – “alcuni li conoscevo già; altri li ho conosciuti meglio in quest’occasione” – e c’è soprattutto l’idea di espandere l’universo narrativo delle sue canzoni: appellandosi al talento e all’aiuto di sei artisti, che hanno scritto, disegnato e raccontato la loro personalissima storia, partendo dai testi dei brani.

  


Foto tratta dalla pagina Facebook di Giovanni Truppi


 

“Era da un po’ che ci pensavo”, confessa Truppi; e la faccia gli si acconcia in un mezzo sorriso brillante, la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo basso, alla ricerca delle parole giuste, perso in chissà quali ghirigori di poesia. “Poi ne ho parlato con Cristina Portolano, anche lei tra i fumettisti coinvolti, e mi sono deciso. Sono andato dalla Coconino Press, ed è nato questo libro”. Che non è, come qualcuno ha detto, un libro-videoclip: i fumetti non sono un’estensione, o una sottolineatura, delle canzoni di Truppi. Sono quasi – sì, quasi: perché c’è sempre un punto di contatto, altrimenti non saremmo qui a parlarne – un’altra cosa.

   

Prendete “Mia”, per esempio. Truppi la canta insieme a Calcutta. È la storia di un amore che forse sta finendo, forse è solo in crisi; parla lui, che ama lei, che la chiama “mia”, e che si perde nei suoi occhi da sirena, nei suoi lunghi capelli, nelle sue gambe, e che quando si tocca immagina di toccare lei, che a tratti rimpiange il loro rapporto e che la desidera ancora. “E mentre lo facciamo, ti direi: che non penso che a te”.

 

 

Antonio Pronostico, disegnatore, e Fulvio Risuleo, sceneggiatore, hanno lavorato alla storia a fumetti. E ci hanno lavorato, dicono, senza confrontarsi con Truppi. “Ho ascoltato la sua canzone ripetutamente, più e più volte, cercando lo spunto ideale da cui partire”, precisa Risuleo. “Io ho immaginato di essere Giovanni, di sapere quello che gli stava succedendo, e poi da lì ho creato la mia storia, la mia “Mia””, continua Pronostico. Ed è così: c’è un affresco più grande, un mosaico se preferite, che porta la firma di Truppi, e che è una di quelle opere d’arte in cui potersi perdere e ritrovare, un’opera creata e sostenuta dalla sua incredibile capacità di cantautore di selezionare parole, pause, toni.

 

E poi, tassello più o meno importante, più o meno fondamentale, quintessenza dell’interpretazione di qualcun altro (e proprio per questo, a modo suo, imprescindibile: ché “le canzoni sono anche di chi le ascolta”, come si dice), ci sono le storie a fumetti, e c’è – sempre per fare un nome – la “Mia” di Pronostico e Risuleo.

 

“Cinque” è quasi un’appendice (così si deve dire, stando alla nomenclatura ufficiale che segue questo EP) di “Poesia e Civiltà”, e come tale andrebbe visto e, ovviamente, ascoltato: quello che Truppi voleva fare era dire qualcos’altro, chiudere un cerchio che andava chiuso, e voleva farlo cantando, per una volta, insieme ad altri, e quindi offrendo al suo pubblico qualcosa che, fino ad allora, non gli aveva mai offerto.

 

Truppi è un figlio di Napoli, classe ’81, che ha vissuto a Roma e che ora s’è trasferito a Bologna. La sua voce è una voce delicata, sincera, che ha la stessa forza e la stessa fermezza della verità: elenchi, cose, persone, numeri sensuali, numeri pieni di nove (come canta in “Il tuo numero di telefono”), e situazioni che ritornano, e ritornano sempre, e ritornano uguali e sommabili, diversi e assurdamente familiari. “Non è che un cantautore, perché cantautore, debba dare dei messaggi a chi lo ascolta”, dice Truppi. “Non c’è un dovere: si canta quello che si sente di voler cantare. L’importante, ecco, è essere onesti”. E allora vai così, Giovanni: “Stai andando bene, dai che ce la puoi fare”.

Di più su questi argomenti: