La musica (che fu) ribelle

Nata nel secondo dopoguerra come suono di protesta, la musica contemporanea ha perso oggi il suo valore politico. Il compositore Virzì: “È suonata da un numero sempre maggiore di persone, ma si è perso il senso”

Valeria Sforzini

Cos’hanno in comune una ruspa, un gregge di pecore, un palco e uno spartito? Niente, se non che molto facilmente ognuno di questi elementi si potrebbe inserire in un concerto di musica contemporanea. E sì, persino nella stessa esibizione. L'origine di questo musica si fa risalire storicamente al periodo post seconda guerra mondiale. Da allora, inutile dirlo, il mondo è profondamente cambiato e quello che era nato come un suono di ribellione e di protesta, oggi ha una forma completamente diversa. “Il termine ingloba anche componimenti di cinquant’anni fa: c’è la musica contemporanea legata alle avanguardie, come quella microtonale e la spettrale. Oppure quella che discende direttamente dalla classica, o ancora il post-modernismo. È una musica di ricerca, sperimentale, fatta di contaminazioni, anche geografiche” spiega al Foglio, Flavio Virzì, 35 anni, musicista e compositore palermitano noto in tutta Europa che oggi vive a Lipsia, in Germania, assieme alla compagna Sonja Horlacher con la quale ha creato un duo. Virzì non si inserisce in una corrente, lavora come interprete suonando la chitarra classica, elettrica, basso e il banjo.

 

In principio si trattava di pura disobbedienza alla devastazione del mondo post bellico. “Non ci si poteva permettere di cantare una melodia bella – continua Virzì – il desiderio era quello di rompere con il bel canto, di suonare usando dei rumori, toni forti. Anche oggi, molta musica contemporanea è rimasta impegnata. C’è stato John Cage, ad esempio, che faceva brani con il silenzio: quattro minuti e trentatré in cui l’interprete si sedeva al pianoforte, ma non si sentiva nulla. Quando il pubblico si aspetta qualcosa che non arriva, apre le orecchie e improvvisamente tutto si fa musica. L’ascolto è già musica. È un’arte concettuale, e quando lo ha fatto Cage era una cosa mai sentita. Oggi, artisti così sono stati digeriti da altri mondi musicali più popolari. Nel Novecento si registravano persone che mangiavano carote e sembrava un’idea assurda. Oggi il pop ha sdoganato rumori quotidiani, come quello dei passi, della pioggia o di un temporale”.

 

Il suono in quell’epoca è diventato un messaggio di protesta, lasciando un segno nella storia, poi ripreso e studiato dalle generazioni successive. Ma pur senza cadere nelle frasi da bar per cui “i giovani non sono più in grado di lottare”, è al contempo vero che i musicisti hanno assunto un nuovo approccio nei confronti di questa “musica ribelle”. “Nelle nuove generazioni si sta perdendo il lato politico – spiega – quando mi sono avvicinato a questa espressione, studiavo composizione. Ho imparato parlando con gli artisti, in biblioteca e ascoltando i dischi. Adesso viene insegnata a lezione. È programmata, accettata, non c’è bisogno di un contesto combattente. È suonata da un numero sempre maggiore di persone, ma si è perso il senso. Se l’obiettivo è solo quello di sostenere un esame, il rischio è che diventi un fenomeno da museo”. La musica nata per dissenso oggi si inserisce in un contesto politico instabile. “Molti movimenti nascevano da un panorama chiaro e da un senso sociale – continua Virzì – oggi c’è molto individualismo. Un sacco di artisti si interessano di politica e di ambiente, ci sono anche dei festival militanti, ma abbiamo sempre più fretta. Tutto sta diventando più veloce, e i progetti si consumano prima”.

 

Ma se l’origine della musica contemporanea è chiara, resta più difficile identificare la direzione che sta assumendo adesso. Le nuove tecnologie e i social media stanno influenzando anche questo tipo di espressione artistica. “Internet sta cambiando tante cose: il rapporto che abbiamo con i social e con l’immagine è sempre più forte ed è subentrata la velocità – spiega Flavio Virzì – In Germania la musica va verso una modalità più computerizzata, visiva, legata all’immagine. Ma una tendenza vera e propria non esiste. Volendo ribaltare la cosa, ci sono anche esempi di rifiuto di questa inclinazione, con un ritorno all’acustico, ai concerti piccoli, alla creazione di un momento sociale, totalmente disconnesso”.

 

Se applicazioni come Spotify hanno reso più semplice la fruizione del repertorio storico e attuale, non vale lo stesso per la musica contemporanea, che è e rimane un genere di nicchia, destinata a pochi. I più la associano a concerti esagerati, assurdi, ma nonostante le performance teatrali siano una fetta consistente delle esibizioni, oggi la tendenza è un’altra. “Io ho suonato su una gru gigantesca, mentre motoseghe elettriche erano in azione – continua Virzì – un freddo pazzesco. Mi sono esibito in spettacoli “fluxus”, con il bassista che preparava il ragù con una mano, mentre con l’altra toccava le corde. La mia compagna ha suonato il flauto circondata da un gregge di pecore. Queste occasioni capitano, ma per chi non conosce la musica contemporanea sono diventate caricature in cui i musicisti spaccano le lavatrici e danno pugni in terra. Le cose assurde e spettacolari sono soprattutto legate alle avanguardie che cercano di rompere con il concerto tradizionale, con i luoghi comuni e con il romanticismo”. Quelle che un tempo erano provocazioni pure nei confronti del grande pubblico, oggi non hanno mantenuto necessariamente lo stesso intento di protesta. “Oggi la ribellione non è il centro del discorso – aggiunge – oggi si fa musica”.

Di più su questi argomenti: