È morto Daniel Johnston. Cinque canzoni (e due documentari) per ricordarlo

Cantautore e artista visivo, aveva 58 anni. “Se mi fermassi, non resterebbe nulla”, ha risposto al Nyt che gli chiedeva se quello del 2017 sarebbe stato il suo ultimo tour

Daniel Johnston, cantautore e pittore, è morto martedì sera nella sua casa di Austin. Secondo l'Austin Chronicle, che ha riportato per primo la notizia, a ucciderlo è stato un attacco di cuore. Aveva 58 anni.

Chissà se, nell'accomodarsi vicino a Kurt Cobain – suo grande ammiratore – nel paradiso delle leggende musicali, gli avrà chiesto subito: “Ciao, come stai?”, come titola il suo album più popolare. “Quando ero più giovane, in chiesa alla fine della messa tutti si stringevano le mani e dicevano ‘Hi. How Are You?’”, spiegava l’anno scorso il musicista al Chronicle. “Lo sentivo tutte le volte, anche durante il funerale di un tipo morto di vecchiaia. Il becchino mi disse ‘Ciao. Come stai?’, è cominciato tutto così”. Titola così anche un breve documentario del 2015 disponibile a meno di due euro su Vimeo.

Un buon punto per cominciare, per chi ancora non conoscesse i suoi testi naïf e la sua voce acuta, alla Neil Young, bizzarra per quel suo corpaccione. Un bel modo di ricordarlo, guardando il suo sorriso contagioso, per chi l'ha amato.

    

  

Volevo essere i Beatles

Johnston, nato il 22 gennaio 1961 a Sacramento, era il più giovane di cinque fratelli. “A 19 anni volevo essere i Beatles. Ci rimasi male quando mi accorsi che non sapevo cantare”, racconta. Eppure comincia a cantare lo stesso, e a scrivere canzoni per filmini amatoriali da lui stesso creati. Nel 1979 realizza un'audiocassetta con quattordici brani, mentre due anni più tardi vede la luce il suo primo vero lavoro: Songs of Pain, inciso con un organetto e un mangianastri da 59 dollari. Daniel ha un primo forte crollo nervoso, abbandona la scuola d'arte per unirsi ad un luna park itinerante come venditore di pop-corn. Continua a comporre e incidere. Giunto ad Austin inizia a vivere di lavori saltuari e continua a suonare. In breve, diventa un po' un idolo nella città texana e viene segnalato per lo spettacolo itinerante di Mtv Cutting Edge. Questa fugace apparizione televisiva lo eleva a nuovo fenomeno della scena underground, accendendo l'interesse di artisti come Sonic Youth e Butthole Surfers.

 

 

Nel 1983 escono due dei suoi migliori dischi, Yip/Jump Music e Hi How Are You. Frammentari e surreali, tradiscono “lo stato di disordine” in cui vennero registrati, come scrive Andrea Liuzza su OndaRock, che ha definito Daniel “il Van Gogh del rock'n'roll”.

“Filastrocche dementi si alternano a confessioni disperate, gioielli pop (Walking The Cow su tutte) a trovate geniali, come quella di usare un disco jazz per accompagnamento: è la straordinaria Keep Punching Joe, in cui Daniel mette in scena un programma televisivo interpretando conduttore e ospite, con straordinaria verve comica. Il rumore domina sull'armonia”.

   

 

Alcune cose durano a lungo

Il suo primo successo internazionale, 1990, è favorito dalla diffusione che gli garantisce l'etichetta Shimmy Disc e anche dal sostegno pubblico di Kurt Cobain e dagli apprezzamenti di David Bowie (che nel 2002 infatti pubblicherà Wood Jackson, canzone a lui dedicata). Nel 1992 esce Artistic Vice, forse il suo disco più gioioso e spensierato, il cui successo gli varrà la firma di un contratto con la Atlantic Records. Ma un nuovo crollo lo porta al limite del suicidio e solo sul finire del secolo Johnston riesce a riemergere. Collabora con Mark Linkous, leader degli Sparklehorse, che si dedica alla produzione dei suoi lavori, ultimi tra i quali Fear Yourself (2003), l'album-tributo realizzato da vari artisti famosi (tra cui Tom Waits, Beck, Eels, Flaming Lips, Mercury Rev e Death Cab for Cutie) Discovered Covered (2004), e Lost and Found (2006). Nel 2009 Jason Falkner (già produttore degli AIR e di Beck) produce Is and always wasSpace Ducks, il suo ultimo album, esce nel 2010.

  

Nel 2015 Lana Del Rey ha suonato una cover di Some Things Last a Long Time per un cortometraggio sulla storia del cantautore. Poi, insieme a Mac Miller ha donato 10 mila dollari alla campagna Kickstarter per produrre il documentario sulla vita di Daniel Hi how are you Daniel Johnston. “L’unica cosa che desidero è che lui sappia che mentre è a casa a lavorare alla sua arte – dice di scrivere ogni giorno – fuori ci sono molte persone a cui ha cambiato la vita”, ha detto Del Rey. “Di sicuro ha fatto la differenza nella mia”.

  

  

La malattia. Daniel e il diavolo

Brian Beattie, intimo amico di Johnson sin dai primi anni Ottanta, e in seguito suo produttore, ha detto al Chronicle che “non c'era altra musica della mia età così assolutamente personale. Era quasi voyeuristico ascoltarlo”. Beattie ha spiegato che il primo giorno in cui lui e la sua compagna di band dei Glass Eye, Kathy McCarty, sono stati con Johnston, il cantante li ha portati nel suo appartamento e gli ha presentato una copia del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. “L'aprì e ci lesse 'schizofrenia' e 'maniaco depressivo' e disse: 'Se hai a che fare con me, devi capire questi sintomi perché io sono così”, ha ricordato Beattie. “Ho pensato che fosse molto attento da parte sua farlo”.

Raccontava dei suoi disturbi psicologici, Daniel, in una vecchia intervista molto sincera: “Ero disorientato, non riuscivo ad avere contatti con gli amici, così sono passato semplicemente all'arte”.

 

  

“Quindi continuerò. Devo farlo”

Nell'autunno del 2017, Johnston ha intrapreso quello che è stato definito il suo “tour finale”, anche se lui non la pensava così. Nella serie di cinque date in nord America lo hanno accompagnato artisti che aveva influenzato, tra cui il leader dei Wilco Jeff Tweedy, oltre ai Built to Spill, Preservation All-Stars, the Districts e Modern Baseball. “Devo molto a Daniel, è stato una grande ispirazione”, ha detto Tweedy al New York Times. “Lui è riuscito a scrivere nonostante la malattia, non a causa di essa. Ha ritratto con onestà quello che gli succedeva, i suoi problemi, senza sfruttarli per attirare l’attenzione”.

  

 

“Se mi fermassi, non resterebbe nulla”, ha risposto Johnston al giornalista del New York Times che gli chiedeva se pensasse che quella del 2017 sarebbe stata la sua ultima tournée. “Forse si fermerebbe tutto. Quindi continuerò. Devo farlo”. E ora? Si fermerà tutto?

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