Ode ai neomelodici
Quasi un passaporto politico. La nuova canzone napoletana dall’Unità di Veltroni a Fico, Terza carica dello stato, che l’ha studiata a fondo
Con una tesi su “L’identità sociale e linguistica nella musica neomelodica napoletana”, a coronamento di studi in Scienza della comunicazione, poteva poi rivelarsi al mondo un ottimo pubblicitario, un editor, un autore televisivo, un critico del costume, ovviamente un discografico, un futuro giudice di talent, una specie di nuovo Umberto Eco, un giornalista, un operatore culturale, un organizzatore di eventi. Insomma, uno sufficientemente stronzo. Invece ne è derivato un anomalo presidente della Camera, una terza carica dello stato, un uomo delle istituzioni, come si sarebbe detto ancora pochi anni fa, oppure un apriscatole umano che è a Montecitorio per completare il lavoro promesso da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio, o perfino una specie di agente monomandatario messo lì per occuparsi dell’ossessione rizzoestelliana per i costi della politica. Che poi quegli studi, completati dal neopresidente della Camera Roberto Fico nel 2001 con la nota tesi, si svolsero a Trieste, dove a una forte, e nobilmente un po’ consunta, tradizione letteraria locale, fatta anche di continue suggestioni per lettori appena un po’ informati, il nostro autore andò a contrapporre una tradizione invece povera, seppur vitale, ma certamente popolaresca, e soprattutto sparlata, calunniata.
L’Unità realizzò la saldatura tra la musica riconosciuta e quella abbandonata, dai non napoletani, al suo circuito di bancarelle
Ma, appunto, restiamo al tema, perché poi, al Fico sbertucciato per una scelta sulla quale invece a nostro parere non lo meritava, erano toccate interessanti solidarietà preventive, premonitorie. I neomelodici erano stati pubblicati fuori Napoli e presentati con tutto il gramsciano rispetto del caso nientemeno che sull’Unità di Walter Veltroni. In uno dei cd acclusi al giornale, compilando una antologia della musica popolare napoletana, si passava da Salvatore Di Giacomo a Libero Bovio, a E. A. Mario, per arrivare fino a contemporanei, inseriti nella schiera dei cantanti radicati nel mercato musicale campano degli anni 90. Senza timore, con la sicurezza di chi sa di poter promuovere la cultura bassa e trarne vita, energia, ricchezza. L’Unità veltroniana, assistita da solidi consulenti in filologia e da intellettuali ben strutturati, realizzò l’operazione di saldatura tra la musica napoletana ormai riconosciuta come pilastro della nostra grande cultura nazionale e quella invece proprio schifata, abbandonata, dai non napoletani, al suo circuito di bancarelle, di serate in piazza o in locali molto peggiori delle piazze. L’Unità accolse i cafonazzi, Fico, poco dopo, spiegò quale fosse la loro identità sociale e linguistica (almeno immaginiamo che lo spiegò, perché poi quella tesi resta tuttora inaccessibile almeno per le nostre capacità internettiane tutt’altro che hackeristiche) con gli strumenti che ti mette a disposizione lo studio in Scienza della comunicazione e a un’età (ma quello è il problema di tutte le tesi di laurea) che ancora, nella grandissima parte dei casi, non consente il distacco critico necessario per occuparsi di un tema tanto intricato.
Un po’ di dileggio, proveniente da una rappresentazione caricaturale del mezzogiorno e di Napoli, e un po’ di invettiva, tutta savianea
Di fronte a forze soverchianti è logico che i segnali positivi di attenzione culturale, da ultimo il bel film “Song e’ Napule”, restino un po’ da parte, nello spazio di chi già sa di perdere la partita immediata della popolarità ma sente di avere qualche ragione forte e stabile dalla sua. Anche per la valutazione pubblica che è stata fatta della tesi di Fico si sta svolgendo una partita culturale, politica e critica, simile a quella appena esposta. Sembra eccessivo? Beh, il problema è che nella stessa biografia del neo presidente della Camera si fa fatica a trovare momenti di spicco, passaggi qualificanti, linee d’ombra attraversate, romanzi di formazione. Oppure, al contrario, ci sono solo quelle cose lì, ma manca la sostanza. Vacilla il biografo d’assalto, il suo armamentario è messo fuorigioco da un curriculum senza asperità, da una vita studentesca un po’ a Trieste e un po’ in Finlandia (sì c’è quella fascinazione, in stile “Ricomincio da tre” o “La meglio gioventù” ma presente anche nel Checco Zalone del “Posto fisso”, per il nord che funziona, ma che volete farne, è poco per definire una terza carica dello stato) e poi da attività lavorative intermittenti tra la comunicazione per conto di imprese della ristorazione e della formazione aziendale, le attività informatiche fondamentali nel grillismo/casaleggismo, i corsi per agente letterario, strani master di cui non si ha notizia specifica nell’offerta accademica e l’appena più affascinante attività di importatore di tessuti dal Marocco. Tutto un po’ evanescente e impolitico, a contrasto invece con una tetragona adesione al Movimento 5 stelle, con evidente disponibilità di tempo libero per animare, fin dai primi tempi, i meet up e i tavolini per le varie raccolte di firme e iniziative di sensibilizzazione.
Gratta gratta restano i neomelodici, come unico colpo d’ala. E lì appunto si sono concentrati i due partiti di cui parlavamo prima. Con la difesa delle posizioni di Fico affidata, tra gli altri, ai giornalisti di Fanpage. Interiorizzato il metodo degli agenti provocatori, nella nota testata online campana si industriano ad auto provocarsi, scrivendo di pregiudizi e di un ragionamento affrettato tipico da discussione sui social “relativo proprio alla superstizione sul tema della canzone neomelodica napoletana. La reazione derisoria di queste ore per la laurea di Fico pare un surrogato di quella stolta approssimazione con cui si irride un fenomeno folcloristico, quello della musica neomelodica appunto, verso cui i primi a non risparmiarsi in beffe e canzonature siamo spesso noi campani, in larga parte imbarazzati dal poter essere accostati all’idea di degrado umano e culturale che si associa a quel genere musicale”. Insomma un po’ dicono che non va irriso lo studio di quella musica e un po’ che semmai devono essere i napoletani, che già lo fanno, a irridersela da soli.
Ma un ulteriore agente provocatore viene inserito con il parere riportato sempre sulla testata online, quello di uno studioso del fenomeno neomelodico, il professore Marcello Ravveduto, dell’Università di Salerno. Provoca perché anziché sposare l’idea del “degrado umano e culturale” torna invece alla lettura proposta, sia pure in modo molto velato, dall’Unità negli anni 90 e quindi la butta un po’ in politica, aiutato però da una chiosa fatta dal redattore di Fanpage. Ravveduto nel 2007 (anno fatale anche per il grillismo) aveva pubblicato “Napoli... Serenata calibro 9”. “Il testo – viene fatto osservare – ripercorre l’immaginario neomelodico, dalla sceneggiata alla canzone, nel tentativo di spiegare l’humus in cui nasce una tendenza artistica così pittoresca, guardando il fenomeno da vicino, senza pregiudizi. Leggendolo c’è un dato che appare inconfutabile, ovvero che la tradizione neomelodica sia proliferata in contesti principalmente popolari, foraggiata dagli ultimi, dagli emarginati, dai derisi appunto, coltivata in quelle fasce sociali fatiscenti che hanno visto nella musica (nel linguaggio e nei temi) uno strumento di identificazione e autoaffermazione. Se nessuno ti guarda, devi trovare il modo per farti vedere. A volersi concedere il lusso di un parallelismo che è più somigliante a un volo pindarico, nessuno ci intravede una lontana somiglianza con genesi ed espansione del Movimento 5 stelle?”.
Il problema è che nella biografia del neo presidente della Camera si fa fatica a trovare momenti di spicco, romanzi di formazione
C’è una parte fondamentalmente passatista e un po’ piagnona e un’altra che ama la concorrenza e rifiuta nei fatti l’assistenzialismo
Un mondo vivo, come si diceva. “Una vita dai ritmi serrati e ben rodata come una catena di montaggio – ci dice ancora Cicatelli – con qualche guizzo da ritardatario giusto per atteggiarsi a star. I loro agenti sono più che altro protettori oltre che protettivi anche perché hanno interessi diretti: su un neomelodico si reggono almeno cinque nuclei familiari: un sistema gestito in scantinati di incisione o in attici di periferia”. Allora il punto che resta davvero sospeso è in questa evidente divisione del variegato mondo neomelodico. Vincerà la parte che fa leva sul congiuntivo sbagliato, fondamentalmente passatista e un po’ piagnona? Oppure prevarrà quella parte che ama la concorrenza, l’iniziativa privata e rifiuta nei fatti l’assistenzialismo?
Intervista a Gabriele Lavia