I conduttori del Festival Pierfrancesco Favino, Claudio Baglioni (che è anche il direttore artistico) e Michelle Hunziker (foto LaPresse)

Al Festival di Sanremo (forse) c'è musica. Ed è una bella novità

Mario Leone

Dal 6 al 10 febbraio l'edizione numero 68 della gara canora. La direzione di Baglioni sembra aver preso una direzione chiara con i nomi “storici” preferiti ai ragazzi dei talent

Non abbiamo ancora ascoltato una nota delle canzoni del 68° Festival della canzone italiana ma già indiscrezioni, polemiche e studi sociologici riempiono pagine di giornali e trasmissioni televisive. È il bello di Sanremo, la settimana dove un po’ tutti si fermano ritrovandosi a discutere di musica, abiti o della polemica giornaliera. Per non parlare del bolso teatrino dei compensi elargiti a Claudio Baglioni e ai suoi ospiti (i primi a essere rivelati sono stati Sting e James Taylor) che omaggeranno, con la loro voce, la musica italiana. 

 

Va bene così. Per cinque giorni, dal 6 al 10 febbraio, l’Italia diventerà come ogni anno terra di critici musicali e fan sfegatati di artisti che poi, forse, dimenticheremo negli strascichi di un inverno che mostra già i flebili segni di una luce di primavera. Non quella “maledetta” cantata da Loretta Goggi che nel 1981 si classificò (ingiustamente?) dietro “Per Elisa” di Alice. Ma si sa, a Sanremo le classifiche non sono tutto. Canzoni non comprese sul palco dell’Ariston sono diventate indimenticabili melodie: “Un’avventura” di Lucio Battisti nel ’69 si classificò nona; nell’83 Vasco che cantava “Vita spericolata” in playback arrivò penultimo. E poi sappiamo come è andata a finire. Insomma alla fine a vincere è sempre la musica.

 

Così la domanda è d'obbligo: quello del 2018 sarà un Festival che punta sulla musica? Roberto Razzini, presidente di Warner Chappel, ne è certo. “Quest’anno – dice al Foglio - grazie alla direzione artistica di Claudio Baglioni, la musica italiana popolare, in tutte le sue diverse forme e declinazioni tornerà protagonista centrale e principale nella kermesse. con meno attenzione riservata a temi di costume e di attualità, prettamente funzionali a meccanismi più televisivi”. 

 

Non è stato sempre così. Mario Allione, produttore ed editore discografico, rappresentante della Abramo Allione Edizioni Musicali, se lo ricorda bene: “Se nel periodo dei grandi impresari, vedi Gianni Ravera o Adriano Aragozzini, la kermesse era finalizzata al successo delle tournée estive dei cantanti partecipanti, nel tempo si è progressivamente modificata in un evento televisivo, in cui i budget pubblicitari soffocavano qualsiasi altro interesse arrivando a sovrastare la gara stessa e imponendo per esempio partecipazioni straniere di effetto. Nell’ultimo periodo, invece, è riaffiorato un maggiore interesse per la musica: la partecipazione di giovani artisti provenienti dai talent accanto ad artisti di sicura notorietà ha riportato la musica alla centralità originale". 

 

Anche per il presidente della SIAE, Filippo Sugar, la scelta di Baglioni come direttore artistico è una chiara dichiarazione di intenti: “In questa kermesse sarà al centro la musica. Verrà ribadito lo straordinario valore di quella d’autore e popolare”. Qualcuno però mormora che il Claudio nazionale sia solo un'operazione di facciata e che, dietro di lui a muovere le pedine, ci siano i soliti “potenti” manager. Al di là dei pettegolezzi gli artisti selezionati sembrano essere un omaggio a una parte della storia della musica leggera italiana. I Decibel, Ron con una canzone inedita di Lucio Dalla, Red Canzian e altri Pooh sparsi. Basse le quote rosa e gli artisti legati ai talent show. Ma se nel primo caso il dato è dovuto (probabilmente) alla disponibilità dei cantanti, nel secondo è un messaggio chiaro ai giovani: se vali lo devi dimostrare con i fatti e non basta un format televisivo. 

 

Ciò nonostante Tony Pagliuca, tastierista de Le Orme, gruppo storico del rock progressivo made in Italy che spopolava nel nostro paese e all’estero negli anni sessanta, non è affatto soddisfatto: “L’Italia senza Sanremo sarebbe come Vienna senza il capodanno. Però sono finiti i tempi magici del Festival. La qualità sta scemando, mancano i contenuti, l’ispirazione. È un problema di decadenza della società dove è difficile mantenere un livello alto di arte. Il Festival avrebbe bisogno di artisti capaci di far saltare il pubblico dalla sedia. Dei grandi artisti che non ci sono più”.  

 

E allora bisogna interrogarsi: nell'Italia del 2018 vale ancora la pena proporre cinque serate di musica leggera italiana (che effettivamente non vive un’età dell’oro), lunghe dirette televisive e una gara che dal punto di vista della carriera, alla fine, vale poco o niente? “Da poche settimane - ricorda Sugar - è stata riconosciuta per legge la valenza culturale ed educativa della musica popolare, per le nuove generazioni e non solo”. Il Festival che inizierà tra pochi giorni, ribadiscono Razzani e Allione all’unisono, sembra inserirsi in questo alveo: “È uno spartiacque importante per il mercato della musica nel nostro Paese che propone un’offerta musicale sempre ampia e variegata, anche se con fortune alterne”. 

 

Ma cosa propone il Festival 2018? “Sicuramente un casting di altissimo livello – continua Allione – con Baglioni che ha coraggiosamente scelto, infischiandosene di qualche critica all’età media, dei concorrenti di qualità. La musica non può essere valutata né per l’età di chi la esegue o la scrive né per il genere, bensì per la sua qualità”. Lo stesso livello che Razzani ritrova nella categoria giovani dove, spiega, “ascolteremo cantanti particolarmente interessanti e potenzialmente idonei ad affrontare un percorso artistico sul mercato con ottimi presupposti di qualità e risultato”. E allora che lo spettacolo abbia inizio. 

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