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il foglio della moda

Se il futuro della moda si chiama Walter Albini

Claudia Vanti

Nell’entusiasmo per il prossimo ritorno di un nome così amato si è letto che Albini, con immensa capacità creativa, ha innovato su mille piani diversi, anche la moda agender, magari per catturare proprio l’attenzione dei più giovani

Come si fa a spiegare ai ventenni che il prossimo nome di cui dovranno innamorarsi follemente è Walter Albini? A quelli che vogliono fare moda, forse ancora studiano, che ci sarà la gavetta, d’accordo, ma almeno una possibilità di farsi conoscere con idee e nome propri se the next big thing è ancora una volta una riscoperta? Il valore di Albini è indiscutibile e non va ribadito: ne hanno scritto tutti, giustamente. Nell’entusiasmo per il prossimo ritorno di un nome così amato si è letto che Albini, con immensa capacità creativa, ha innovato su mille piani diversi, anche la moda agender, magari per catturare proprio l’attenzione dei più giovani: forse in questo caso si poteva ricordare pure Rudi Gernreich, ma infine la moda non è questione di primati e chi abbia inventato che cosa; piuttosto è studio, e Albini deve essere studiato, molto di più di quanto non si faccia nelle scuole e nelle accademie. Anche Gernreich, e tanti altri, stritolati da programmi che spesso si fermano a Dior (inteso come Christian), ma ironicamente tutti oggetto di potenziali prossimi rilanci.

Lo studio è lo strumento per assorbire la lezione estetica di un gigante, e contribuisce a rafforzare le basi culturali di chi poi, con un’operazione di sintesi fra vari tasselli, personali e no, vorrebbe mettersi in gioco con la propria proposta, anche con la presunzione un po’ sfacciata di avere mixato, se non creato (creare ormai è una parola tabù da trattare quantomeno con sufficienza), qualcosa di originale. Negli anni accademici, e per i piccoli brand in cerca di conferme necessariamente anche economiche, si affrontano decine di concorsi. Le intenzioni sono sempre ottime, l’occasione di un concorso è un modo per gli aspiranti creatori di pensare se stessi in una dimensione professionale, mettendosi a confronto con altri in un modello in scala del sistema moda. E quindi dove si trova l’anello debole che fa disperdere in seguito tutte queste energie? Nella paura di investire in nomi sconosciuti? O anche nel fatto che per avere un minimo di continuità (nella migliore ipotesi di vendite sufficienti l’incasso non è immediato e intanto bisogna già avere in lavoro una nuova collezione) gli investimenti necessari sono sempre più alti? Tantissimi giovani creatori provano strade diverse dalla classica struttura “creativo + azienda produttrice”, affidandosi a piccoli atelier e alla distribuzione via social. Funziona? Sì e no, si sopravvive, ma nell’estrema polverizzazione dei contenuti “scrollati” non c’è l’attenzione necessaria per farsi ricordare a lungo. Per crescere, elaborare la propria visione estetica e diventare il Walter Albini di domani.

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