I Vanti della moda

L'interessante caso della T shirt in passerella

Claudia Vanti

La forma a T consente infinite combinazioni di ampiezza e lunghezza e se le si tolgono le maniche si può darle nuove vita in altrettante varianti, a volte degne di una passerella come il tank top dell’uscita 81 di Bottega Veneta

Che cosa distingue un abito che può sfilare degnamente su una passerella da uno che - pure gradevole o “carino”, aggettivo fra i più taglienti - risulta in fin dei conti debole? In settimane affollate di sfilate e presentazioni, forse troppe, questo non è un quesito speculativo per addetti ai lavori, perché dietro a ogni abito in passerella c’è il lavoro di una équipe, un’identità estetica da rafforzare, la necessità di tradurlo in un risultato commerciale, e, non ultima, l’esigenza di non incorrere in scivoloni davanti a stampa e compratori.

 

Matthieu Blazy ha aperto la sfilata inverno 2023 2024 di Bottega Veneta, un appuntamento molto atteso, con un abito sottoveste bianco, teoricamente semplicissimo, nonché il primo di una sequenza di ottantuno uscite molto varie che hanno poi mostrato pizzo, fiori di campo stampati e ricamati a ispirazione Primavera del Botticelli, tessuti maschili per completi formali dai volumi a scatola e abiti con gonne a ruota, nappa lavorata a maglia e maglia a scaglie, frange di ogni tipo, intarsi embossed, soutache laccati a ridefinire il concetto di decorazione contemporanea e molto altro ancora. Eppure, anzi soprattutto quel primo abito bianco e scivolato, ha una ragion d’essere precisa: non è l’apertura neutra di una collezione molto ricca, ma un mix di proporzioni tra ampiezza, lunghezza e scollo, tessuto e realizzazione che lo rendono perfetto per aprire una passerella e dare il senso a una collezione: l’alfa di uno show chiuso dall’omega di un altrettanto semplice tank top bianco più jeans che è un richiamo alla collezione precedente.

 

La scorsa stagione, un altro abito ha fatto molto parlare di sé; ma, al contrario di questo di Bottega Veneta, a pochi mesi di distanza appare invece stilisticamente ancora più debole di quanto fosse sembrato alla presentazione: lo spray dress di Coperni, creato direttamente sul corpo di Bella Hadid con una soluzione di fibre e polimeri di Fabrican, è stato un momento molto visualizzato e molto condiviso, ma estremamente didascalico, più in sintonia con gli esperimenti e le presentazioni delle scuole di moda che con una collezione dalla quale ci si aspetterebbe una visione precisa su linee e volumi. In quel caso ha vinto la performance, peraltro non originalissima.

 

Ma oggi le performance abbinate ai vestiti ci hanno un po’ stancato: è un momento di ripiegamento, o di riflessione su canoni estetici possibilmente durevoli. Il “contorno” ai capi presentati, esigenze del digitale a parte, non è così necessario. Anzi, può essere un boomerang che si traduce in una viralità di corto respiro, conclusa la quale arriva comunque una campagna vendite nella quale bisogna conquistare clienti solidi con prodotti tanto identitari quanto vendibili.

 

Anche le sfilate di Londra, solitamente la piazza più trasgressiva quasi per statuto, hanno concesso poco in termini di rappresentazione, se non l’evocazione di JW Anderson della sua collaborazione con Michael Clark, con un allestimento colorato ed essenziale quanto un manifesto Bauhaus. Tutto sembra volgere verso codici estetici più rassicuranti, e almeno per qualche stagione le istanze dei product manager avranno spazio e riconoscimento nei briefing di ogni nuova collezione da progettare. Rassicuranti non significa necessariamente e però “consueti”; se non esiste la formula per il perfetto abito sottoveste, o per la perfetta giacca oversize o altro, è perché non esiste un unico abito perfetto, ma un lavoro di studio e di prove continue per verificare misure, dettagli e un equilibrio di pochi centimetri che può stravolgere l’immagine finale di un capo.

 

Alcune scuole di moda insegnano per esempio a delineare la “giacca base” o la “camicia base” prima che ad analizzare i volumi dell’abito in modo approfondito; se seguite pedissequamente, o rivoluzionate in modo grossolano, queste basi rischiano di essere delle gabbie, delle costrizioni, mentre di “base” non c’è neanche la t-shirt: la forma a T consente infatti infinite combinazioni di ampiezza e lunghezza e se le si tolgono le maniche si può darle nuove vita in altrettante varianti, a volte degne di una passerella come il tank top dell’uscita 81 di Bottega Veneta.

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