A sinistra, la collezione Viktor&Rolf, una riflessione sul rapporto fra corpo e abito. A destra, la sfilata di Peter Mulier per Alaïa 

i vanti della moda

La moda, gli unicorni e dove trovarli: la riscoperta del vintage

Claudia Vanti

I capi tramandati o acquistati come oggetti rari e preziosi sono diventati veri e propri beni rifugio, soprattutto in questi tempi incerti

Certi capi di abbigliamento e accessori non sono mai superati, vecchi, passé. Scoperti nei mercati dedicati o estratti dall’archivio che ogni marchio di moda che si rispetti ha ormai istituito, sono fonte di ispirazione per i designer da almeno tre decenni, cioè da quando, dopo la ventata di immotivato ottimismo degli anni Ottanta, si è cominciato a guardare seriamente all’indietro, non solo per qualche spunto, ma con la convinzione che la nostalgia fosse un valore aggiunto confortante ed essenziale.

Al di fuori del limitato mondo moda, i capi tramandati o acquistati come oggetti rari e preziosi sono diventati veri e propri beni rifugio, soprattutto in questi tempi incerti. Offrono rassicurazione rispetto a mode passeggere e investimento economico quando si tratta di pezzi storici; e no, storici non sono solo le Kelly di Hermès che affollano aste e second hand di lusso o il tubino nero di Chanel del 1926 che “Harper’s Bazaar” paragonò alla Ford model T come esempio di eleganza. Che esista un’infinità di capi di riconosciuto valore storico per il design, la lavorazione o l’origine lo sanno benissimo i rivenditori che, più che negli indirizzi appartati del mercatino delle pulci di Saint-Ouen, a Parigi – dove fino a un decennio fa era possibile vedere ricercatori di maison concorrenti intenti a strapparsi letteralmente di mano piccoli campioni di broderie non finiti - si trovano oggi online. Indirizzi specializzati in abbigliamento del Novecento (spesso anche in mobili, oggettistica e gioielli) che rappresentano un compendio di storia del costume e il più delle volte hanno base negli Stati Uniti. 

 

Vintage Couture, 1stDibs, Resurrection, What goes around comes around e Byronesque, i più rappresentativi fra tanti, offrono capi organizzati in redazionali, gli “editor’s picks” selezionati dagli stylist interni e il focus storico su creatori non più attivi (come ad esempio Norman Norell, la cui riscoperta è stata tutta interna al mercato dei collezionisti per estendersi poi agli stylist, alle attrici e a Michelle Obama).  Non c’è nulla di più illuminante in fatto di tendenze moda dell’osservare le scelte e le proposte di chi vende capi ad alto contenuto stilistico ad appassionati e addetti ai lavori. A Byronesque si deve per esempio l’acuta e astuta distinzione in Contemporary vintage (quello che per essere certificato come tale dovrebbe contare almeno vent’anni di vita) e in Future vintage, capi di oggi potenzialmente iconici da “indossare a lungo” (cit.) che permetterebbero di onorare l’invito a “comprare meglio comprare meno”, ma pensando, perché no, a un potenziale ritorno economico futuro, un tesoretto che ripaghi dell’acquisto seppur a distanza di anni.

Il tempo vola, la linea che separa la contemporaneità dal vintage è sottile, e a volte la si oltrepassa rapidamente. A rigor di termini il vintage arriva oggi a comprendere capi prodotti fino al 2003, nell’era che, dalla fine dei Novanta - vide l’esplosione creativa di brand che le holding del lusso finanziavano con una certa spensieratezza. Alexander McQueen, da solo o con Givenchy, John Galliano per Dior, Martin Margiela non più di nicchia senza rinunciare alla sua creatività iconoclasta e addirittura, fra il 1997 e il 2003, direttore artistico di Hermès, e ancora Tom Ford all’apice di un glamour scintillante negli anni di Gucci e poi di Yves Saint Laurent…chi non vorrebbe oggi i bumper trousers di McQueen del ’96, a vita bassissima e di nuovo citati (citati?) nelle collezioni attuali e non solo da Sarah Burton? O la blusa Vareuse di Hermès, marinara con abissale scollo a V, la Saddle originale di Dior, la Mombasa di Saint Laurent che (oh, fortuna!) si abbinerebbe benissimo pure al nuovo corso di Vaccarello e lo jacquard animalier di Azzedine Alaïa, padre e madre di tutti i rari animalier ben fatti e non applicati a modelli inutilmente complicati.

 

Alaïa, a cui è dedicata la mostra Azzedine Alaïa, Arthur Elgort. En liberté (fino al 20 agosto presso la fondazione omonima in rue de la Verrerie, a Parigi), non è però facilmente rintracciabile nel mercato del vintage, neppure quello di lusso, né presso i venditori che si rivolgono privatamente a collezionisti e designer.

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