Sfilata Armani a Milano, collezione primavera estate 2022 (LaPresse) 

Il foglio della moda

Fenomenologia del nuovo Tadzio

Antonio Mancinelli

L’epoca fluida ha il volto dell’adolescenza passionale del quattordicenne Morgan Icardi, direttore d’orchestra già al suo primo album. Ma la non binarietà è un’estetica meno recente di quanto si creda. Leggere alla voce Giorgio Armani

Sessualmente impassibile, emotivamente disarticolato, sentimentalmente scompaginato, fisicamente a disagio. L’uomo medio “cis” (piccola nota per conversazioni di successo: oggi categorizzarsi come “cis” ha rilevanza più che catalogarsi come i noiosi “etero” o “gay” perché, ai tempi del politically correct, la cisitudine indica chi è a proprio agio con il proprio genere biologico, e comprende ogni orientamento sessuale) ha un motivo in più per sentirsi emarginato. Ovvero, sentirsi tagliato fuori dalla conversazione (altra piccola nota: anche quando si tratta di ordini aureolati da rigore militare, si tratta sempre di conversazioni, mai di prescrizioni) sulla body positivity, sulla diversity, sull’inclusivity: quei traguardi conquistati da signore che si sdilinquiscono se in passerella arriva un’indossatrice taglia 52 anche se in boutique sanno di non trovare nulla oltre la 44, e che nei fatti si sostanzia in un «amati per come sei» anche se i trigliceridi o la pressione alta consiglierebbero più sobri regimi alimentari.

 

Giusto per: sono le stesse signore che hanno cazziato Noemi all’ultimo Festival di Sanremo quando la cantante, in totale autonomia, ha deciso di avere una silhouette più snella, ma che hanno salutato con molti like, per esempio, il drastico calo ponderale di Joaquim Phoenix per Joker o dell’attore comico Jonah Hill. Intendiamoci: esistono sacche di resistenza consustanziate in testimonial di peso e magari anche un po’ agé. Vedi i sorrisi e la tenerezza, suscitati in chi lo ricordava nella parte di uno scattante Muhammad Ali, dal ritratto su Instagram dell’ormai ultracinquantenne Will Smith in costume da bagno nero, ventre e pettorali flosci e prominenti, insomma nella sua “peggiore forma fisica” dopo il lockdown e tanti, tanti muffin trangugiati a mezzanotte: però era una foto-spot per promuovere la serie su YouTube My Best Shape of My Life, dove coach e trainer laureati lo hanno rimesso in carreggiata dopo dodici settimane. 

 

In Italia, l’equivalente di Chiara Ferragni nel campo della body positivity al maschile è Riccardo Onorato, alias @guyoverboard. Si definisce “fat-shionista”, neologismo assai divertente, e rilascia dichiarazioni quasi pontificie, tipo: «Ragazzi, non vivete in maniera colpevole la sensazione di disagio nei confronti del vostro corpo. Anche se razionalmente pensate che sia una sciocchezza, viviamo comunque in una società che è ossessionata dalla forma fisica». Onorato ha ragione, nel suo populismo un po’ facilone: il maschio contemporaneo, forse vittima, forse no, del patriarcato che i suoi avi etero cis hanno contribuito a costruire, anche se fa finta di non seguire la moda, ha da sempre un rapporto tormentato con il suo corpo. Specie in Occidente, ma non solo. 

 

La dieta dimagrante non è una novità dell’ultimo secolo. Forse in passato non esistevano tante teorie e non c’erano nutrizionisti cool a dettar legge, ma l’attenzione per la forma fisica e l’estetica non sono certamente manie della contemporaneità. Secondo uno studio della storica britannica Louise Foxcroft, autrice del libro Calories & Corsets, Lord Byron era ossessionato dalla dieta, perché aveva una propensione a ingrassare: nel 1806 pesava ottantotto chili, nel 1811 ne aveva persi più di trenta. Non fu l’unico dell’epoca. Il celebre dandy Beau Brummell fu contagiato dal desiderio di essere smilzo, perdendo in sette anni 22 chili. 

 

Assicura il chirurgo estetico Attilio Buccomino che «oggi un paziente su otto è un uomo: vogliono eliminare le maniglie dell’amore, l’addome rilassato, il grasso accumulato sul pettorale, le rughe intorno agli occhi, che stanno cedendo il passo a quelle intorno alle labbra da tonificare con un filler. Sono strano a dirsi, durante il Covid le richieste di ritocchi maschili sono aumentate perché, tra mascherine e confinamenti, c’era la possibilità di farle “di nascosto” salvo poi dichiarare di aver fatto moto in cantina o di aver raggiunto una remise en forme tra le mura del proprio appartamento». 

 

Non c’è bisogno di tornare a leggere L’immagine dell'uomo. Lo stereotipo maschile nell'epoca moderna di George L. Mosse (Einaudi) o il più recente Ciao maschio. Politiche di rappresentazione del corpo maschile nel Novecento a cura di Giacomo Albert, Giulia Carluccio, Giulia Muggeo, Antonio Pizzo (Rosenberg & Sellier) per scoprire che, dalla fine del Settecento in poi, le figure di riferimento della beltà virile sono state due, che si sono alternate nel corso del tempo. E questo avviene quando, dopo secoli di privilegio della mente sul corpo, quest’ultimo ha iniziato a urlare le sue ragioni, rivendicando una posizione non secondaria nell’espressione di noi stessi. In questo senso, il corpo costituisce l’interfaccia dell’individuo con l’ambiente, oggetto pubblico e al tempo stesso privato. Così abbiamo due conformazioni considerevoli: quella di una silhouette larga come una striscia di cocaina, alla Timothée Chalamet, o l’altra visualizzabile come una piramide a rovescio di muscoli allevati con cura, alla Chris Hemsworth, il protagonista di Thor. Lungo i secoli, sono stati questi i contorni somatici a cui gli aspiranti belli hanno guardato sospirosi.

 

Per esempio, dopo l’impalpabile struttura ossea di giovinetti alla Tadzio di Morte a Venezia, durante il Ventennio l’esaltazione della potenza muscolare immortalata in alcune foto di nudo maschile di boxeur o ragazzotti aitanti immortalati da Elio Luxardo è il più chiaro esempio della parabola dell’esasperazione machista che oggi gli studiosi chiamato “omofascismo”, all’epoca in contrasto con la smidollata magrezza della borghesia fancazzista. Le generazioni successive, che combattono il sistema con le proteste del Sessantotto e dintorni, vedono nell’estrema asciuttezza, magari aiutata anche da sostanze dall’effetto anoressizzante, una forma di contestazione contro il pasciuto “corpo sociale” del capitalismo. Negli anni Ottanta il tempio della cura del sé si chiama palestra e avere muscoli guizzanti si trasforma in status symbol che non significa la ricerca del benessere, ma la disponibilità di tempo e denaro per trasformarsi in vetrine carnali. Queste le figure dominanti, finché non si afferma quella adolescenzialmente continuativa, di grande successo tra i fashion people dalla seconda metà degli anni 90 (chi si ricorda di Leo DiCaprio in Titanic, del ’97?).

 

Uno scatto dal set di "Morte a Venezia": da sinistra, il regista Luchino Visconto, Sergio Garfagnoli (Jaschu) and Björn Andrésen (Tadzio). 

 

"Le recenti sfilate per maschili per l’estate 2022, con tante proposte 'nude' come le camicie tagliate a metà torace di Fendi o il breve costume da bagno di Prada con un piccolo pannello-gonna davanti, ribattezzato 'skort', hanno evidenziato come la moda moderna, che da sempre è un sistema di differenze ed è stata fondata sulla differenza di genere, oggi ne deve stabilire di nuove, perché sono state decostruite le norme di un tempo. Abbiamo già introiettato il messaggio politico della moda, esaltata dalla sempre maggiore quantità di modelli di etnie diverse: africani, caucasici, asiatici. Ormai è assodato come la fluidità sia il nuovo mantra estetico: il passo successivo è farlo ascendere anche a livello mentale e culturale", afferma Simona Segre Reinach, antropologa culturale che insegna all’Università di Bologna. Ma, allo stesso livello della dieta, neanche il così sbandierato dichiararsi “non binari” – né totalmente uomini, né totalmente donne – è una lezione che da cinquant’anni è portata avanti con l’inflessibile grazia e il gentile rigore che è proprio a Giorgio Armani.

 

Gli addetti ai lavori della moda, notoriamente di memoria corta, talvolta dimenticano che lui ha stravolto per primo con gentilezza l’imbustato guardaroba maschile con giacche formali ma leggere come cardigan, pantaloni ampi, camicie mutuate dai djellaba nordafricani o dalle tuniche d’Oriente, utilizzando tessuti talora rubati al guardaroba delle mogli. Una sartoria post-sartoriale, che dagli anni Settanta conduce il corpo maschile in un ecosistema dove non si perde un’oncia di classe, non si rischia una scivolata nel ridicolo. Tant’è vero che, pur declinati in collezioni dai target diversi, i suoi abiti possiedono la magia di rendere gli uomini più belli, composti e immersi nel presente, dal sessantenne George Clooney a Morgan Icardi che, secondo Segre, è il paradigma dell’homo novus. Quattordici anni, direttore d’orchestra di gran genio con un futuro lunghissimo come i suoi capelli che incorniciano il volto ancora imberbe, poiché vive quel periodo della vita in cui «la sessualità è ancora incerta, ma la passione no. Sarà proprio la passione l’elemento principale che scatenerà il comportamento maschile del futuro prossimo. E non può essere rappresentata da una mascolinità adulta, già inquinata da elementi eterodotti, ma da un individuo posseduto dalla giovinezza d’animo, esprime sentimenti totalizzanti e puri. È ovvio, quasi scontato, che una volta calati nella realtà, gli abiti così striminziti visti in alcuni défilé subiranno aggiustamenti, modifiche, cambiamenti. Ma è questo tipo d’immaginario l’unico a simbolizzare una ripartenza», conclude la studiosa. Non più maschi di potere, ma maschi di valore? Magari. Noi li vorremmo anche con molti chili in più. E molti capelli in meno.