(foto LaPresse)

il foglio della moda - voci critiche

“Alla moda post Covid manca un nuovo protocollo”. Colloquio con Quirino Conti

Fabiana Giacomotti

Armani e Miuccia Prada nell'olimpo dei grandi nervosi. Il bisogno di nuovi codici e stilemi per andare oltre l'alibi della graziosità. Un pomeriggio in compagnia dello "stilista occulto della moda"

“Fabianina, che cosa vuoi che ti dica: Lagerfeld riteneva che la moda fosse la cosa più immorale e ingiusta sulla faccia della terra, e ricercava una bellezza selettiva che fosse pura espressione estetica, dunque non moralizzabile. Balenciaga lavorava in totale autonomia, per una moda che doveva piacere a se stessa. Il dramma si è prodotto quando la moda è diventata funzione: da quel punto, si è prodotta un’evoluzione intrinseca e involontaria sempre più rapida che ha portato all’attuale ricerca di una nuova ragion d’essere. E questa ragione oggi è stata identificata nell’adesione alla morale comune, alle grandi cause. E a un linguaggio intimorente, a cui ha affidato il proprio futuro. D’altronde, se ci pensi, la moda aveva già esplorato tutti i limiti, pornografia compresa. E oltre il voyeurismo non c’è altro, se non la santità, forse”.

 

Cambiare registro si sarebbe, insomma, dovuto per forza anche senza la Generazione Z a spingere per l’inclusione-diversità-sostenibilità: “Alessandro Michele si ammazza di dignità per dare un senso al suo linguaggio, ma ora deve ritrovare la sontuosità della sua epistemologia, quei primi colori sublimi, controriformisti, senza scivolare in certe gag estemporanee come lo scambio dei marchi fra Gucci e Balenciaga. Non ne ha bisogno”. Parlare con Quirino Conti fra giugno e luglio significa andarlo a cercare a Spoleto, dove ormai da molti anni affianca la Fondazione Carla Fendi nella curatela delle attività del Teatro Caio Melisso. Dalla scomparsa della più famosa fra le sorelle Fendi, la fondazione si è data una nuova missione, che esplora i rapporti fra arte e scienza, e in questa edizione incrocia le esperienze e progettualità sul territorio nelle residenze d’artista di SolDeWitt e Alma Mahler. Il debutto, con installazioni, in particolare di uno dei celebri murales di DeWitt proiettato sulla facciata del teatro e con un intervento del neuroscienziato cognitivo Vittorio Gallese, ha avuto molto successo e dunque, il “divino Quirino”, appellativo storico e, nell’ambiente, pronunciato con reale reverenza, è moderatamente stanco e molto felice.

Architetto e scenografo per formazione, è considerato lo “stilista occulto della moda”, storica definizione di Natalia Aspesi che come tutti noi negli anni ha cercato di inquadrare questo eccezionale eclettico, ovviamente senza riuscirci. Metà delle citazioni sulla moda che trovate negli articoli dei giovani critici sono prese pari pari dai suoi libri e dal suo saggio più famoso, Mai il mondo saprà: conversazioni sulla moda (Feltrinelli), titolo ovviamente desunto da quel passaggio della Recherche in cui Marcel Proust definisce i “nervosi”, perché “sono loro, e non altri, che hanno fondato le religioni e creato capolavori. Mai il mondo saprà quanto deve loro; e soprattutto quanto essi hanno sofferto per produrlo”.

 

Nell’olimpo dei grandi nervosi di Quirino Conti, in questo pomeriggio caldissimo di giugno in cui lo interroghiamo sulle ragioni di quest’ansia di tolleranza e comunione con il Creato che ha colpito l’elitarissimo mondo della moda negli ultimi tre anni (“una moda la cui prima ragione è vendere vestiti, non dimentichiamolo: per questo deve fare attenzione a non strumentalizzare la morale”), ci sono i due grandi rivoluzionari degli ultimi decenni: Giorgio Armani “e la sua sete di armonia, liquida come un pensiero perfetto e reale”, Miuccia Prada, “che vede ciò che ha attorno, il bianco il rosso e il blu ben dosati e li trova intollerabili. Una stilista che si fa matita della storia e che prova il bisogno non abbellire la moda, renderla convenzionalmente “graziosa”. Miuccia Prada ha l’istinto della storia, e lo persegue pur sapendo di correre dei rischi, come Picasso quando Max Jacob gli disse che sarebbe finito impiccato dietro alle Demoiselles d’Avignon”.

La moda, osserva Conti, si è creata l’alibi della graziosità fin troppo a lungo, al punto che l’irruzione sulla scena di Prada, con la sua trascrizione apparentemente docile e versatile di uno sturm und drang intellettuale, il suo progredire “per tranelli”, ne hanno cambiato la percezione comune, anche se non in via definitiva. Adesso siamo arrivati alla fase in cui ha bisogno di un nuovo protocollo, di nuovi codici e nuovi stilemi, come ha saputo fare la musica”. Li sta ancora, evidentemente, cercando.

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