La senatrice della Lega e sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni (foto Ansa)

La Lega si prende la moda e il governo dà poteri a Borgonzoni

Fabiana Giacomotti

La sottosegretaria alla Cultura sarà il punto di riferimento del settore, che ufficialmente si dichiara molto progressista e però deve fare i conti con fatturati in calo

Non è ben chiaro il momento in cui Lucia Borgonzoni, senatrice della Lega al momento unico sottosegretario al Mic depauperato del Turismo, abbia iniziato a interessarsi alla moda. Al telefono, dice che è stato molto tempo fa e di averlo sempre considerata rilevante, sia per il suo apporto al pil nazionale, sia per “l’immagine stessa del paese”. E’ certo invece che la signora stia per diventare il deus ex machina nazionale del sistema abbigliamento di lusso e affini. Lo è in pratica da questa mattina, quando si presenterà alla Sessione straordinaria della Cabina di regia per l’internazionalizzazione dedicata all’attrazione degli investimenti esteri, in programma alla Farnesina, come delegata per il Mic in sostituzione di Dario Franceschini e dove porterà, dice, “la questione moda, che nella parte dedicata al Made in Italy non era citata”. 

Vecchia questione, la questione moda, e soprattutto la sua percezione da parte della politica, che in Italia si innesta molto spesso sulla morale spicciola e sulla percezione popolare del settore come di attività ludica, da cui il sostanziale disinteresse pubblico nei riguardi di gente che, proprio perché farebbe cose divertenti, dovrebbe cavarsela da sola. Dopo un anno di lockdown, le aziende della moda hanno i magazzini pieni, cioè gran costi, e le casse vuote. “Già nell’ultimo ‘Ristori’, avevamo provato a fare passare un emendamento inerente alla liquidità di cassa”, dice Borgonzoni (circa 700 milioni, destinati ad aziende anche quotate con fatturato superiore ai 2 milioni di euro e in salute prima della pandemia, ndr). Qualche giorno fa, Confindustria Moda ha dichiarato una flessione del 26 per cento del comparto nel 2020, con una perdita di oltre 25 miliardi di euro, che si teme si trasformerà in una messe di licenziamenti appena sarà tolto il blocco, portando a una perdita di competenze specializzate che è appunto uno dei temi sui quali la senatrice intende intervenire dopo essersi guadagnata la delega sostanziale alla direzione Moda, Design e Industrie Creative in seno al ministero della Cultura. Non dovrebbe avere straordinari fondi a disposizione, visto che, par di capire, una parte non irrilevante della liquidità va a sostenere il Maxxi, direttamente dipendente dal Mic (nell’ultimo bilancio pubblicato, alla voce “contributi di gestione” si legge la cifra di oltre 7 milioni). Però, ed è questo che più conta per un settore che dipende dalla bienveillance di tre ministeri – e cioè Mise, Mic ed Esteri – Borgonzoni vanta un rapporto strettissimo di collaborazione con il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di suo sensibile nei riguardi delle imprese moda al punto di aver riavviato il Tavolo, voluto da Carlo Calenda e sospeso da tempo, che si riunirà per la prima volta domani. 

 

Dunque, e sebbene una collaborazione interministeriale sia fuori discussione, non ci sono dubbi che sia nato un asse forte in seno alla Lega attorno a un settore culturale ed economico che, se ufficialmente si dichiara molto progressista e imposta la propria comunicazione persino oltre il ddl Zan, debba poi fare i conti con la realtà dei fatturati in calo. E questi aiuti sono tinti di verde Lega. Nel suo programma, Borgonzoni elenca quattro punti difficilmente non condivisibili. Il primo, la “formazione e salvaguardia delle professionalità esistenti” all’interno dei “centri tecnologici esistenti” e con forte accento sul digitale, da realizzare tramite bando in collegamento con i distretti, risponde a una esigenza di qualificazione che finora si è svolta nel consueto ordine sparso nazionale (poche scuole professionali, non tutte eccellenti, molte scuole interne alle aziende, non sempre di facile accesso). Bisognerà poi rendere questo programma attraente per un pubblico di ragazzi sedotti dai talent show, e sarà il passo più difficile. Il secondo punto in programma è qualcosa che chi si occupa di questo settore conosce molto bene, e cioè la digitalizzazione degli archivi storici. Ricordiamo dodici anni fa un progetto nazionale e un convegno a Palazzo Spini Feroni, cioè dai Ferragamo, da cui emersero molte parole e mai la verità che qualunque archivista serio avrebbe potuto pronunciare, e cioè che non si può procedere alla digitalizzazione nazionale di niente se è vero, come è purtroppo vero, che ogni archivio aziendale risponde a criteri di catalogazione propri, talvolta home made, cioè affidati a critici, curatori, amici degli amici, e vorremmo non esprimere giudizi sulle condizioni in cui alcuni di questi sono tenuti, nonostante godano di sovvenzioni pubbliche.

Spiega Borgonzoni che la digitalizzazione degli archivi sarebbe “finalizzata a implementare una maggiore facilità di fruizione per gli addetti ai lavori dell’immenso patrimonio culturale e artistico del settore”. Vasto progetto, direbbe quel tale. Sul terzo, la blockchain, tutti felici certamente: un sistema di tracciabilità e autenticità del made in Italy, può essere osteggiato solo da chi si avvale dell’etichetta senza possedere i requisiti per sfoggiarla. Speriamo di non avere un numero eccessivo di brutte scoperte, sebbene le norme siano piuttosto lasche. Sul quarto punto, la “piattaforma per le pmi” che godono notoriamente di “scarsa visibilità”, l’idea di una rete è certamente buona, ed è anche evidente che la senatrice abbia capito di aver bisogno delle associazioni di settore per la selezione. Va detto, però, che molti furbissimi imprenditori nazionali e stranieri, uno in particolare, ArteMest, hanno già messo in rete le vere eccellenze. Questo progetto avrebbe portata ovviamente istituzionale e non commerciale, ma siamo sicuri che riuscirebbe a selezionare i migliori, senza cadere vittima dei tanti interessi locali? Non si è data un compito facilissimo, la senatrice Borgonzoni. Anzi, se ne è aggiunta altri due: il reshoring delle imprese del settore, che era ampiamente iniziato prima del Covid, e un “recycling hub” che però, per prendere il via, ha “necessità di collaborazione” da parte di altri ministeri. Uno è garantito.

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